Conversazione con Massimiliano Larocca – di Dino Campana, di poesia, di musica

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Massimiliano Larocca sembra davvero contento del suo nuovissimo disco – e non vediamo perché non debba esserlo. Un mistero di sogni avverati è un lavoro che ha alle spalle quindici anni di vita e di amore per l’opera di Dino Campana, che qui è rivisita con grazia e chiara visione d’intenti. Lo aiutano il Maestro Riccardo Tesi, campione riconosciuto dell’organetto diatonico, volgarmente conosciuto come precursore della fisarmonica, e storico collaboratore di molti fuoriclasse della musica nostrana (Ivano Fossati, Fabrizio De André, Carlo Muratori, Ornella Vanoni, Giorgio Gaber), che qui fa da produttore – nonché la sicura partecipazione dei Sacri Cuori quale backing band. Oltre alla presenza di diversi ospiti di nome: Hugo Race, Cesare Basile e Nada. Nella speranza che media e premi nazionali (Tenco e Ciampi in primis) non siano sordi a tale sforzo di assoluta eccellenza, ne discutiamo con il protagonista – che peraltro a brevissimo presenterà il lavoro dal vivo con Tesi e i due Sacri Cuori Antonio Gramentieri e Diego Sapignoli: 15 aprile Scandicci (FI) al Teatro Studio, 7 maggio Bergamo al In dispArte e l’8 maggio Cantù (CO) a All’Una e trentacinque circa, le date finora confermate.

– La prima cosa che è obbligatorio chiederti è: come nasce il tuo amore per Dino Campana? Già il tuo primissimo disco, che purtroppo non ho mai sentito, musicava l’opera del poeta.

Definirlo un disco sarebbe cosa assai generosa. Era un piccolo EP registrato artigianalmente in casa, su un vecchio quattro piste. Scherzando, lo potrei chiamare Nebraska orfico – che però è stato importante come prima manifestazione di amore puro e incondizionato per questo poeta scoperto nella tarda adolescenza, visto com’ero ancora imbevuto di Rimbaud, Mallarmè e dei miti decadenti del rock, da Jimbo a Lou Reed fino Nico. Ebbene, venni a sapere che c’era questa poeta mio conterraneo che aveva avuto una vita errabonda e che parlava con una forza elettrica e visionaria di luoghi a me già familiari e cari – Firenze ovviamente ma anche il Casentino natío dei miei nonni. Insomma, gli ingredienti per interessarmene c’erano già tutti, ed erano molto “esteriori”, diciamo, e poco legati alla sua poetica che invece ho poi approfondito nel corso degli anni successivi leggendo e rileggendo, studiando i Canti orfici.

– Dal tuo primo disco a questo sono passati circa quindici anni: com’è cambiato il tuo rapporto con l’opera di Campana? 

A livello emotivo e viscerale assolutamente nulla. Ne sono innamorato come allora, e la sua poesia risuona ancora potente dentro di me. Sono certamente cambiate, invece, la consapevolezza e la conoscenza della sua opera che, seppur molto piccola, ha echi molto ampi e profondi. Canti orfici è davvero uno dei libri della vita, e non intendo solo per me ma a livello strutturale e narrativo. Lo è perché taglia trasversalmente centocinquanta anni di letteratura, partendo dal simbolismo, attraversano il futurismo e tutte le avanguardie del primo Novecento per gettarsi, infine, nella contemporaneità.

Massimiliano Larocca con il Maestro Riccardo Tesi e i Sacri Cuori Antonio Gramentieri e Diego Sapignoli

Massimiliano Larocca con il Maestro Riccardo Tesi e i Sacri Cuori Antonio Gramentieri e Diego Sapignoli

– Se in breve dovessi spiegare a un neofita la poesia di Campana, cosa gli diresti dopo averci lavorato così tanto e così  approfonditamente?

Gli direi che è una poesia che vive di grandi slanci, che è una poesia complessa e bipolare, che nei versi di Campana si trova una forte tensione nervosa al pari di una tenerezza e di un bisogno d’amore struggente. Agli amanti della musica rock – come lo ero io, quando lo scoprii – direi che Campana è il primo poeta che usa il termine “elettricità” in poesia: elettrica sono la luna, le stelle e molto altro. In poche parole, direi che il mondo Campana è molto complesso perché è terreno ma anche visionario, ma che è utile e bello perdercisi dentro.

– Contando che le poesie le hai musicate fedelmente ai testi originali, quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nell’adattarle? Oppure sono così musicali di per sé che tutto è stato “indolore”?

È stato talmente “indolore” come dici tu che sono venute tutte – e dico tutte – in poco più di due mesi. E parlo del 2001, anno nel quale ho “composto” queste canzoni che quindi mi sono portato dietro per quindici anni prima di trovargli collocazione.

Credo che il fatto che il lavoro sia venuto così di getto, che in due mesi mi sia ritrovato tra le mani tredici canzoni e un disco intero pronto, non possono che essere manifesto della musicalità intrinseca della poesia di Campana. Quasi come se si fossero scritte da sole, in un certo senso. E ti parla uno che crede molto più al lavoro e alla dedizione che all’ispirazione.

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– Qual è la poesia di Campana cui sei più affezionato – e perché?

Direi La sera di fiera perché racconta la solitudine in modo molto pungente e disarmante.  Anzi, ancor di più racconta l’assenza, che è un vuoto se vuoi ancora più grande. E finisce con questa “canzonetta volgaruccia” che nella mia testa è sempre stata una nénia lontana e notturna. È una poesia splendida che in questo disco viene mandata in orbita dalla voce di Nada. Non mi fermerei, però, solo a una poesia – amo molto anche L’invetriata, che conferma Campana anche come primo poeta metropolitano della nostra modernità.

– Il disco presenta diversi ospiti: Cesare Basile, Nada, Hugo Race. Li avevi già in mente o è capitato di coinvolgerli durante la lavorazione? Hai fra l’altro qualche aneddoto da raccontarci riguardo la partecipazione degli ospiti? 

Li ho coinvolti per motivi diversi ma dando a tutti e tre un ruolo preciso. Cesare è un amante di Campana da tempo, e mentre lavoravo alla poesia Pace non cerco, guerra non sopporto, con quei suoi versi libertari ante litteram, non ho potuto pensare che a lui.

– Nada, invece…

Nada conosceva Campana di nome, ha approfondito con me e ne è rimasta affascinata e coinvolta.La sua partecipazione poi rientra in un anno di lavoro assieme abbastanza continuativo, come un travaso continuo: prima lei ha lavorato ai miei laboratori per ragazzi disabili, poi io ho partecipato al suo disco e infine lei al mio.

Massimiliano Larocca con Nada
Massimiliano Larocca con Nada

– Per esempio, immagino che Hugo Race non fosse esattamente famigliare con l’opera di Campana…

Già. Hugo invece l’ho coinvolto perché nel disco lui interpreta Il russo, ossia questa figura surreale che Campana probabilmente incontrò in una delle sue molte degenze in ospedali psichiatrici: il suo accento, la sua pronuncia, la gravità della sua voce sono perfetti per rendere l’idea di questa figura minacciosa ma al tempo stesso tragicomica. Come ti dicevo, tuttavia, non ho utilizzato gli ospiti in modo canonico: nessuno dei tre citati difatti canta – fa cioè quello che gli sarebbe proprio. Sono utilizzati come voci narranti, quasi fossero echi lontani o voci interiori di Campana stesso. Che del resto doveva averne molte, in primis della sua Musa.

– C’era qualcun altro che ti sarebbe piaciuto coinvolgere in Un mistero di sogni avverati? Per esempio, rammento che una ventina di anni fa Massimo Bubola scrisse e incise un pezzo che appunto si intitolava Dino Campana

No, direi che il quadro è completo così. Anche perché ripeto che gli ospiti sono venuti fuori un po’ da sé, per percorsi comuni e non per la classica “ospitata”, e trattandosi di un disco molto particolare non poteva che essere così. La canzone di Bubola, in ogni caso, la conosco bene ed è molto bella. Con Riccardo Tesi si era anche paventato l’idea di inserirla a fine disco in una nostra versione, ma alla fine si è convenuto che avrebbe spostato completamente la chiave di lettura dell’album – dove volevamo che tutte le parole cantate fossero esclusivamente di Campana.

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– L’hai appena nominato: la produzione l’hai affidata a Riccardo Tesi, nome notissimo ai seri frequentatori di musica italiana. Com’è nata la collaborazione con lui e quali erano gli obbiettivi quando vi siete messi a lavorare al progetto?

A Riccardo – che conosco da anni – iniziai a parlare di questo progetto diciamo “incompiuto” già un paio di anni fa. E già allora gli accennai a quella che era la mia idea fondante: che il disco realizzasse l’incontro musicale fra lui e i Sacri Cuori. Riccardo è un musicista che ha un percorso in essere molto importante: ha di fatto portato la Tradizione nella contemporaneità, e in questo ho rivisto una strada che anche Campana ha tracciato, sposando un lirismo romantico e molto toscano al simbolismo e alle avanguardie, come già dicevo poc’anzi. Con lui abbiamo lavorato in una prima fase alle stesure dei brani, momento nel quale sono nati anche molti degli splendidi temi di organetto che sono diventati caratterizzanti di molte canzoni. È stato un ottimo produttore/direttore musicale di questo progetto perché ha capito da subito il sound che avevo in mente: tradizionale e moderno, dolce e disturbante. Da realizzarsi per osmosi con i Sacri Cuori, appunto.

Foto d'epoca del poeta Dino Campana
Foto d’epoca del poeta Dino Campana

– Personalmente mi ha colpito la varietà del suono che caratterizza l’album: trovo vi sia una grande maturazione rispetto ai tuoi dischi precedenti. E, se mi permetti, mi pare anche che tu canti con la voce meno, per così dire, impostata che in passato. 

Credo che in capo a migliaia di produzione, e anche rispetto ai miei dischi precedenti, il sound di questo disco sia davvero originale e difficilmente inquadrabile – non è roots-americana, non è cantautorale-italiano. Ci sono ombre e luci, e molti stili musicali anche diversi a livello proprio di scrittura. È di fatto il sound creato da un piccolo combo di quattro musicisti – ovvero io, Tesi, Antonio Gramentieri e Diego Sapignoli – che in soli tre giorni ha registrato in presa diretta l’80% del disco. Una formazione atipica: due chitarre, batteria, organetto. Sulla quale poi abbiamo successivamente aggiunto qua e là un basso, una tastiera e altro stando attenti però a mantenere questa identità, questo suono che era spontaneamente nato tra noi quattro. Riguardo alla mia voce direi che dopo quindici anni mi sono liberato degli americanismi di troppo e anche del birignao impostato da cantautore italiano, trovando una mia personale forma espressiva. Antonio mi dice spesso che adesso canto con swing – e la cosa mi inorgoglisce alquanto!

Massimiliano Larocca con Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori
Massimiliano Larocca con Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori

– Questa è la seconda volta che lavori con i Sacri Cuori in un disco. Che tipo di rapporto si è instaurato con loro?

Coinvolgerli in questo progetto avevo un motivo in più oltre a quelli strettamente musicale: loro rappresentano la controparte romagnola di Campana, poeta d’Appennino nato in questo paese di confine fra Romagna e Toscana che è Marradi. E del resto in Canti orfici si parla tanto di Toscana quanto di Romagna, con alcuni bellissimi passaggi su Faenza, città natale di Gramentieri fra l’altro. Sono soprattutto soddisfatto nel constatare che la “visione” che avevo avuto due anni fa sull’incontro/scontro tra Tesi e Sacri Cuori abbia dato frutti così importanti e originali. Ecco, questo genere di approccio l’ho certamente mutuato dagli americani, per i quali queste collaborazioni impossibili e trasversali sono all’ordine del giorno. Sui Sacri Cuori vi è poco da aggiungere: oltre a un’ammirazione e a un’amicizia direi molto grande, ribadisco quello che dico da anni: la loro è una esperienza unica in Italia. L’idea di una band che diventa un’entità, un suono, un laboratorio musicale aperto che mutua a seconda della “pelle” che indossa ma che mantenete una propria identità. Mi vengono in mente solo i Bad Seeds, se dovessi trovare una pari esperienza.

La copertina di Canti orfici di Dino Campana
La copertina di Canti orfici di Dino Campana

– Adesso come promuoverai Un mistero di sogni avverati: hai in progetto un tour? Con chi suonerai?

Questo disco potremo suonarlo solo con tutte le forze in campo, e quindi solamente col quartetto base al quale magari integrare qualche strumento. Ma non potrà che rivivere per come è stato registrato. E quindi niente tour ma piuttosto pochi appuntamenti mirati – preferibilmente teatrali – per risuonare il disco integralmente. Intanto il 15 aprile avremo la prima al Teatro Studio di Scandicci (Firenze) e Nada verrà a tenere alto il morale della truppa. Per gli amici del nord: il 7 maggio a Bergamo, l’8 a Cantù. Lascia infine che ti citi lo splendido lavoro di Enrico Pantani, mio amico dai tempi dell’università e artista toscano che ha illustrato tutto il disco realizzando una singola opera per ognuna delle poesie scelte. Anche lui sarà con noi dal vivo, per un live painting visionario che accompagnerà la musica.

CICO CASARTELLI

15 aprile Scandicci (FI), Teatro Studio

7 maggio Bergamo, In dispArte

8 maggio Cantù (CO), All’Una e trentacinque circa