Berlino: dieci cose belle da vedere (e da fare) questa estate

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A woman cycles past a portion of the Berlin Wall on October 16, 2008 at the East Side Gallery in Berlin. The East Side Gallery, a more than one kilometre long section of the Wall decorated with paintings by international artists, is to be restored, as most of the paintings are badly damaged by erosion, graffiti and vandalism. AFP PHOTO BARBARA SAX (Photo credit should read BARBARA SAX/AFP/Getty Images)

 

A woman cycles past a portion of the Berlin Wall on October 16, 2008 at the East Side Gallery in Berlin. The East Side Gallery, a more than one kilometre long section of the Wall decorated with paintings by international artists, is to be restored, as most of the paintings are badly damaged by erosion, graffiti and vandalism. AFP PHOTO BARBARA SAX (Photo credit should read BARBARA SAX/AFP/Getty Images)

Uno. La bicicletta.

Non cosa, ma come: andare in giro in bici a Berlino è il modo migliore per orientarsi. E per perdersi (vedere punto dieci).

È anche una maniera per smaltire tutti i currywurst, le patate fritte e le birre che si ingollano fra una tappa e l’altra.

Chi non ha una bicicletta può affittarla pressoché ovunque (costo medio: 12 euro per 24 ore).

Importante fare molta attenzione a rispettare la segnaletica e le piste ciclabili, pena la morte.

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Due. Hamburger Bahnhof.

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È una ex stazione ferroviaria, attualmente trasformata in Museo.

È un luogo così magnetico che i 14 euro del biglietto sarebbero ben spesi anche solo per vederlo vuoto. Sorpresa: nel prezzo del biglietto ci sono anche cinque mostre.

Tra queste, vale ricordare almeno l’imponente personale del re del minimalismo Carl Andre, Sculture as place, che raccoglie lavori realizzati fra il 1958 e il 2010. I giganteschi spazi del Museo divengono ambienti per una sensorialità espansa, stimolata da volumi geometrici e monocromi, massicci e spigolosi, con il pubblico che si muove attorno ad essi come api intorno al miele (sulle sculture di metallo si può anche camminare). L’opera di queste opere (detto altrimenti: il loro effetto) è quello di ripulire, felicemente svuotare. Una sorta di “dieta in bianco” della percezione: «I don’t want to make works that hit you over the head or smash you in the eye» spiega Andre «I like works that you can be in the room with and ignore when you want to ignore them». Ma questa arte cosa vuol dire?, alcuni si chiederanno. Risponde il Nostro: «My work doesn’t mean anything, it’s just the presentation of materials in the clearest form I can make it».

Sculture as place è aperta fino al 18 settembre.

Info: http://www.smb.museum/museen-und-einrichtungen/hamburger-bahnhof/home.html

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Tre. Berlinische Galerie.

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È un museo di arte contemporanea situato nel quartiere di Kreuzberg.

10 euro di biglietto e cinque mostre da vedere, fra temporanee e permanenti.

Due segnalazioni.

La prima (ma occorre affrettarsi, termina il 22 agosto): Bei Mutti di quel geniaccio di Erwin Wurm, inventore delle One minute sculptures e di altre estetiche meraviglie (aggettivo qui da intendersi, etimologicamente, come l’opposto di “anestetiche”, non di “inestetiche”). La prima monografica che un Museo di Berlino dedica all’artista austriaco si apre con Narrow House, installazione dentro la quale è possibile camminare: identica in tutto e per tutto alla casa dei genitori dell’artista ma larga solamente 110 cm, dà la possibilità di sperimentare fisicamente la ristrettezza della mentalità piccolo borghese degli anni Settanta (e non solo) di quel Paese (e non solo).

La seconda: Dada Afrika, esposizione collettiva (aperta fino al 7 novembre) che, nel centesimo anniversario della nascita del Dadaismo indaga gli stretti rapporti fra questa luminosa Avanguardia e alcune culture tradizionali africane. Opere di Raoul Hausmann, Hans Arp, Hugo Ball, Marcel Janco e Tristan Tzara dialogano con sculture tribali di autori anonimi, evidenziando l’esplicito debito dei primi verso il secondi. In mostra anche minuscoli, inquietanti collages di Hannah Höch, che da soli valgono la visita.

Info: http://www.berlinischegalerie.de/

Quattro. Schwules Museum*.

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L’asterisco nel nome del Museo vuole significare la molteplicità di orientamenti sessuali e concetti di “genere” che in questo Museo, l’unico in Europa dedicato alla storia dell’omosessualità, trovano spazio. Quattro mostre visitabili con 7,50 euro. Tra quelle in corso vale segnalare almeno Am I dandy? – Instructions on how to lead an extravagant life, esposizione interattiva che intreccia Oscar Wilde e Coco Chanel, Marlene Dietrich e Charles Baudelaire, cimeli e fotografie, dipinti e curiosi oggetti del desiderio. Ciò che più colpisce, di questo Museo aperto 31 anni fa (che mette a disposizione anche uno sterminato archivio e una fornitissima biblioteca) è la varietà delle tipologie di visitatori: coppie etero e gay, nonne con nipotini, classi di scuola media e superiore, famigliole, pensionati, gruppetti di anziane signore. Una luminosa manifestazione del grado di apertura e di sviluppo culturale di quella società. Da noi, per dire, sarebbe impensabile.

Info: http://www.schwulesmuseum.de/

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Cinque. La casa e la tomba di Bertolt Brecht.

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Roba da feticisti, forse, ma trovarsi davanti alla sedia a dondolo su cui BB fumava il sigaro, alla macchina da scrivere con cui lavorava, ai libri che sottolineava, alla finestra attraverso cui vedeva il piccolo cimitero in cui è sepolto Hegel (motivo per cui scelse di affittare proprio quell’appartamento), è un’esperienza che toglie il fiato. Per 5 euro si può visitare tutta la casa, anche la parte in cui viveva sua moglie, l’attrice Helene Wiegel: i due abitavano in piccoli appartamenti distinti, con un terzo spazio in comune. Ora anche loro sono sepolti nel minuscolo cimitero a fianco.

Info: http://www.adk.de/de/archiv/gedenkstaetten/gedenkstaetten-brecht-weigel.htm

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Sei. Museum der Dinge.

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Questo curioso “Museo delle cose di ogni giorno” raccoglie migliaia di oggetti prodotti industrialmente nel XX e nel XXI secolo. Cose non di particolare pregio in sé, che acquistano interesse e valore per i principi secondo cui sono catalogate: materiale utilizzato, forma, funzione, classe, periodo. Una tassonomia (che ordina e “nobilita” oggetti che altrimenti resterebbero inosservati in qualche casa o mercatino) che certo sarebbe interessata a Bruno Munari. Il Museo, che possiede una collezione di circa 40.000 oggetti, propone singolari iniziative anche di auto-finanziamento, tra le quali Adopt a thing, attraverso la quale farsi carico per uno o più anni di una delle cose contenute nel Museo, con il diritto di “andare a trovare” l’oggetto adottato gratuitamente. Un Museo da visitare, quanto meno per ricordarsi che davvero l’opera è il mondo: basta saperlo guardare.

Info: http://www.museumderdinge.de/

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Sette. The Memory Void.

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Il Museo Ebraico di Berlino è un luogo significante, progettato dall’architetto Daniel Libeskind per raccontare una storia millenaria: non mero contenitore di documenti, ma spazio in sé parlante. Una delle caratteristiche è la presenza di alcuni Void (vuoti), spazi architettonici che si estendono in verticale tesi a «rappresentare l’assenza degli ebrei dalla società tedesca». Tutti sono visibili attraverso finestre, solo uno è accessibile: il Memory Void, contenente una installazione di Menashe Kadishman. L’artista israeliano ha posizionato 10.000 volti in acciaio punzonato sul pavimento: il pubblico vi cammina sopra, producendo un ferroso, agghiacciante rumore da officina, o da campo di concentramento. E, soprattutto, sperimentando un cortocircuito di senso: da semplici fruitori di un enorme impianto didattico (il Museo è fin troppo ricco di schermi, video interattivi e apparati utili al passaggio di informazioni) si diviene in un attimo smemorati carnefici, vittime fra le vittime. Camminare dentro/su questa installazione è un’esperienza del tutto commovente, nel senso etimologico del “far muovere insieme” (all’opera), fuori da sé. Gli 8 euro del biglietto sono di gran lunga ben spesi, per questo Memory Void. Poi attorno c’è tutto il Museo, compreso nel prezzo.

Info: http://www.jmberlin.de/main/EN/homepage-EN.php

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Otto. Siegessäule.

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La Colonna della Vittoria è uno dei monumenti più celebri di Berlino, si trova al centro del parco Tiergarten. 3 euro e quasi 300 scalini per salire fin sotto alla monumentale figura dorata sulla cima della quale stavano gli angeli de Il cielo sopra Berlino, capolavoro di Wim Wenders del 1987 (se qualche marziano non ha mai visto questo film lo faccia subito. Per il proprio bene).

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Nove. Tempelhofer Feld.

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Ex aeroporto in centro città, ora è una sconfinata area verde dove si può andare a piedi, con i pattini o in bicicletta sopra e attorno alle piste su cui atterravano e decollavano gli aeroplani. Aquiloni, corvi, picnic, orizzonti, birre, cielo, silenzio: questi berlinesi sanno come si vive.

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Dieci. Walter Benjamin.

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Del filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco nato a Berlino il 15 luglio 1892 bisognerebbe leggere tutto. Si può cominciare da Infanzia berlinese intorno al millenovecento: «Non sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta».

Eccoci tornati al punto uno.

Buon viaggio.

MICHELE PASCARELLA