L’ultima spiaggia, l’erosione delle coste italiane

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Ricordiamo tutti la mareggiata dello corso giugno che ha sommerso i lidi ravennati. Ricordiamo anche quella di due anni fa che distrusse le pinete di Cesenatico e Cervia. Sempre più spesso assistiamo alla fragilità delle nostro territorio, frequentemente colpito da fenomeni che creano ingenti danni economici, ambientali e umani.

Si tratta di macro sistemi ambientali che portano all’erosione costiera prodotta dalle mareggiate.

Ne abbiamo parlato insieme a Carlo Cacciamani, direttore del Servizio Idro-Meteo-Clima di Arpa Emilia Romagna, che crede nell’importanza di sensibilizzare il vasto pubblico su questi temi e che è anche il promotore del progetto teatrale La Margherita di Adele, prodotto dall’associazione culturale SpostaMenti di Bologna. Il reading, che racconta due storie parallele ambientate in un futuro probabile ma politicamente evitabile.

Quali sono i principali interventi da prendere in considerazione per una corretta gestione e tutela delle coste e del mare nel territorio italiano? «Nell’immediato e nel medio termine (dai mesi ai pochi anni in avanti) ad esempio interventi di ripristino delle aree erose (esempio le spiagge). Nel medio-lungo periodo è altrettanto importante pianificare interventi più strutturali atti a controllare e ridurre i carichi antropici e la vulnerabilità di tali territori».

Quando si parla di dissesto idrogeologico, di erosione delle coste e di tutele marine inadatte o assenti, non si parla solo di danno ambientale ma anche di danni socio-economici consistenti. Qual è il suo parere al riguardo? «Un danno ambientale in genere produce anche un danno economico, e viceversa. Fino ad oggi si è investito molto poco sulla prevenzione, al contrario si è speso tantissimo per pagare i danni. Sarebbe ora di capire che tale strategia non funziona, non salvaguarda l’ambiente ed è anche fortemente penalizzante per l’economia. Spendere oggi un po’ per non dover spendere molto domani non sembra un concetto facile da far passare. Certamente però dei miglioramenti ci sono. Due esempi: il primo è la realtà di Italia Sicura, struttura di Missione attivata dal Governo per far fronte alla gestione del rischio idrogeologico. Il secondo è il sistema dei Centri Funzionali a supporto della Protezione Civile».

Ci sono dei macro-interventi urgenti che potrebbero essere attuati in Italia per migliorare la sicurezza idrogeologica? «Credo sia sotto gli occhi di tutti come il nostro Paese viva una condizione molto critica dal punto di vista del dissesto idrogeologico. I comuni interessati da aree a pericolosità sia da frana sia idraulica sono più di 7.000, cioè qualcosa come il 90% del totale nazionale. Due sono le strategie che a mio avviso devono essere perseguite per migliorare la sicurezza. La prima è quella di operare nel tempo differito attraverso l’attuazione di piani di messa in sicurezza che contemplino azioni di riduzione del rischio di tipo strutturale. In parallelo, è necessario anche operare nel tempo reale. E qui si tratta allora di potenziare e ottimizzare i sistemi di Early Warning (allertamento rapido). È poi altrettanto necessario operare per il miglioramento della comunicazione ai cittadini, affinché divengano attori del sistema di allertamento e non semplici spettatori».

Qual è il ruolo del cambiamento climatico? Quali potranno essere gli scenari futuri nel nostro Paese? «Come noto il rischio in un territorio (ad esempio il rischio idrogeologico) è il risultato del combinato della pericolosità dei fenomeni idrometeo avversi che si abbattono su quel territorio, con la vulnerabilità ed esposizione proprie. È la combinazione delle tre cose che crea il rischio, non solo una delle tre. Questo concetto viene continuamente ripetuto ma non viene mai del tutto compreso. Il cambiamento climatico può far crescere molto le condizioni di pericolosità, espresse ad esempio in termini di maggior frequenza di eventi convettivi che possono dar luogo a piogge intense e in poco tempo, e poi, da queste, piene fluviali improvvise (flash flood) che sono in grado di ‘mangiarsi’ arginature, abbattere case, trascinare nel loro moto vorticoso qualunque ostacolo si trovi in mezzo. Purtroppo tale ostacolo è talvolta anche l’uomo, che rischia molto spesso la vita in tali situazioni. Il riscaldamento del suolo e degli strati bassi dell’atmosfera, dovuto al cambiamento climatico, anche nel nostro Paese è stato molto elevato in questi ultimi 50-100 anni. Abbiamo osservato dei trend di crescita ben superiori ai famosi 0,7-0,8 gradi in cento anni che è il trend dell’intero Pianeta, come ci dicono i report IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, ndr). Per citare un dato di casa Emilia Romagna, abbiamo rilevato degli aumenti in Regione di più di 1,5 gradi negli ultimi 50-60 anni. Questo valore di trend di crescita delle temperature è enorme, e tale riscaldamento si porta dietro un altrettanto enorme aumento delle condizioni di instabilità termodinamica che rendono la massa d’aria sovrastante i nostri territori molto più idonea a far sviluppare fenomeni temporaleschi molto intensi, che poi producono piogge in maniera copiosa (del tipo diversi centinaia di millimetri di precipitazione in pochissime ore). Per quanto concerne il clima futuro, sono stati sviluppati da più istituzioni scientifiche (il centro Mediterraneo per il Cambiamento Climatico (CMCC), i settori meteo-climatici di molte Arpa regionali, istituzioni di ricerca (CNR, ENEA, ISPRA) degli scenari climatici futuri regionalizzati, traguardati a metà e a fine di questo secolo. Senza entrare nel merito della descrizione di dettaglio di questi scenari, le cose certe (o quanto meno molto, molto probabili) sono un’ulteriore crescita della temperatura (soprattutto in estate), che sarà più o meno elevata a seconda degli scenari di emissione dei gas gas serra, e una diminuzione, anch’essa per lo più estiva, delle precipitazioni. Ma attenzione: meno piogge non significa meno eventi intensi. Al contrario quello che potrà accadere nei nostri territori è una diminuzione delle piogge in termini di quantità medie su un’intera stagione, ma con precipitazioni più intense e di breve durata. Con uno slogan, che è anche un mezzo scioglilingua, si potrebbe dire: ‘pioverà di meno, ma quando pioverà, pioverà di più’».

Ci sono ancora posizioni negazioniste riguardo al cambiamento climatico in atto e ai suoi effetti? «Certamente il livello di scetticismo è molto diminuito. La stragrande maggioranza della comunità dei climatologi è più che convinta che il climate change sia una realtà».

SIMONA TRERE’