Howe Gelb e gli standard del futuro

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Chi scrive capì che Howe Gelb “fosse il suo tipo” nel 1991 quel dì con il sole splendente quando comprò Ramp dei Giant Sand: una rivelazione. Di lì di acqua sotto i ponti e per le cascate ne è passata tanta fra GS, Band Of Blacky Ranchette, i lavori con il mentore/amico-per-la-pelle Rainer Ptacek, OP8 e naturalmente i suoi dischi in solo – addirittura adesso pare che la sua band principale, dopo l’ottimo Heartbreak Pass (2015), sia arrivata al capolinea: noi non ci crediamo – e accettiamo scommesse che entro non molto li avremo, per fortuna, ancora di mezzo. In fondo si tratta solo di un nome. Per il resto, suonala ancora Howe: ecco Future Standards, il nuovo album di Gelb con titolo di umorismo sottile, anzi, geniale.

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No, non si tratta di un disco di standard – per quelli bastano Rod Stewart o Bob Dylan – semmai di standard del futuro, nel senso che li ha scritti tutti ex novo Howe e chissà-forse-magari un giorno diverranno degli evergreen. Già immaginiamo chi altri lo recensirà che tireranno fuori con paragoni con il Tom Waits anni Settanta – di Future Standards, per noi, quella è solo la punta dell’iceberg. Gelb qui scava molto più ampio, lambisce Randy Newman ma sopratutto va a fondo in un’era pre-rock, quella dei Herman Hupfeld, l’autore del leggendario tema di Casablanca, As Time Goes By, e soprattutto degli Hoagy Carmichael, che ne è padre putativo di tutti i cantautori obliqui e poco inquadrati come Waits appunto, Paolo Conte, Vinicio Capossela, Terry Allen e il nostro uomo Giant Sand.

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Howe non è uomo cui piaccia stare con le mani in mano – per tutto lo dimostra la gigantografia che ha alle spalle e che Future Standards, dodicesimo episodio in solo, impreziosisce che è un piacere. Che egli sia un jazzman è chiaro dal day one o quasi, qui semplicemente si toglie il ghiribizzo di ribadirlo lungo i dodici brani per poco meno di quaranta minuti che è lungo il lavoro. Un lavoro ispirato ai classici per, a sua volta, diventar classico esso stesso, insomma. La conduzione è essenziale, spesso solo piano e voce sebbene qui e là lo accompagnino già conosciuti compagni del giro Giant Sand quali Thøger Lund (basso) e Andrew Collberg (batteria) nonché intervenga qualche altro amico sparso per il mondo, fra Amsterdam e New York – comunque per il 90% l’album è stato registrato a casa sua, in quel di Tucson in Arizona.

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Di colpi di classe Future Standards ne offre parecchi anche se il primo che bisogna metter in luce è nientemeno che l’auto-cover di Shiver (In Tucson), per l’occasione intitolata The Shiver Revisited: il capolavoro dei Giant Sand di Chore Of Enchantment (2000) da perla di Musica Cosmica Americana che era si adagia su un letto di piano jazz degno, appunto, di Hoagy Carmichael. Applausi infiniti per un pezzo di cristallina bellezza, comunque lo si rigiri.

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Dopodiché, quando si lancia definitivamente lo spinning del disco con l’attacco di Terribly So, duetto con Lonna Kelley, pieno d’atmosfera Monk-iana, si capisce che l’occasione è di quelle speciali. E lo confermano altri bei numeri di Future Standard come Mad Man At Large, con un pattern che sembra ispirarsi alla Waits-iana The Piano Has Been Drinking (Not Me)Irresponsible Lovers, quasi fosse un’impagabile performance di Hoagy colta a tarda notte in qualche locale losangelino negli anni Quaranta dove il gin scorreva a fiumi («If you’re lucky to achieve a love that’ll never leave/Your heart hurtin’ when nothing is for certain» – grande verso!), Impossible Thing, che se pensate a Frank Sinatra alla Casa Bianca fate bene («World peace declared/No problem spared/This just dared from the West Wing»), oppure ancora Ownin’ It, con sempre ospite la Kelley e che se vi pare un bell’omaggio al Bob Dylan più crooner non sbagliate di una virgola. Per il resto: suonala ancora, Howe!

CICO CASARTELLI

HOWE GELB – Future Standards (Fire Records)

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