Roba vecchia, buona

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L’ultima parte dell’inverno in Romagna è forse la più difficile per alcuni, quelli che sono stati concepiti solo per rosolarsi sul lettino mentre da sotto agli occhiali da sole guardano le ragazze passare in riva al mare. Il tempo al chiuso non passa mai (e le occasioni di vedere una bella ragazza in costume scarseggiano). Io ovviamente adoro questa stagione. Idealmente proietto i miei piedi dentro ad un paio di pedule, appoggiati al bordo di un camino acceso di cui mi godo la fiamma e il caldo irregolare (faccia in fiamme e culo gelato) dopo una bella passeggiata solitaria al freddo.

Il momento migliore per raccontare/leggere/ ascoltare storie. Magari vecchie storie. Capita a fagiolo (alla gionuein) il Dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini. Il maestrone voleva un diverso titolo, Quando al cinema pioveva, non si tratta infatti di palloso glossario con auliche spiegazioni, ma del racconto di cose che non ci sono più, oggetti e situazioni sospese in un delicato equilibrio di nostalgia, ironia e desiderio di non dimenticare tutto alla velocità della luce. Le siringhe di vetro per la penicillina, il flit, le fionde, le cerbottane, la carta moschicida, le sale da ballo, i liquori fatti in casa con le boccettine di estratti, le braghe corte, i pennini per l’inchiostro e le sigarette senza filtro (Nazionali Esportazione, che sul pacchetto verde avevano il veliero che si trova sulla copertina del libro). Non necessariamente a fermarsi un attimo a guardare indietro ci si trasforma in statue di sale, può essere l’occasione per riflettere su come le cose oggi passano in fretta e ce le godiamo di meno mentre c’è stato un tempo in cui ci si poteva godere di più le cose perché non erano usa e getta. Si, godere. Per quanto si possano godere un paio di mutande di lana fatte a mano.