aprile e maggio 2013

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No – I giorni dell’arcobaleno, di Pablo Larrain, Cile, Francia, USA 2012

Vincitore della prestigiosa Quinzaine des réalisateurs a Cannes 2012, No chiude una trilogia con la quale il giovane regista cileno ha cercato di raccontare la travagliata storia recente del suo Paese. Se il precedente, Post mortem, era la cronaca, cupa e livida, del golpe del generale Pinochet, vista con gli occhi di un funzionario dell’obitorio di Santiago, No racconta invece l’epilogo finale della dittatura. Nel 1988 i gerarchi decisero, in seguito alle forti pressioni internazionali, di indire un referendum popolare per confermare o meno, per altri 8 anni, il regime. Lo fecero certi del SÌ del popolo, in un Paese piegato da 15 anni di violenze e soprusi, con un’opposizione divisa e quasi clandestina, ed un’economia in espansione. Protagonista del film è René Saavedra (Gael Garcia Bernal), il brillante creativo a cui l’opposizione affida la campagna pubblicitaria a favore del NO. Egli non ha dubbi, l’unica possibilità di vincere è quella di sfruttare i limitati spazi pubblici concessi all’opposizione (15 minuti al giorno nel canale più popolare della televisione), impiegando le innovative tecniche della pubblicità commerciale, le stesse utilizzate per vendere una bibita. Supera le resistenze di chi ritiene questa scelta immorale ed offensiva delle tante vittime del regime, e costruisce una comunicazione che, con linguaggio pop e kitsch e facili jingle (Cile, l’allegria ya viene), prospetta al Paese un futuro radioso e felice, con i colori dell’arcobaleno, da confrontare con i visi grigi e spenti delle cariatidi del governo. Il regime è preso in contropiede ed è costretto ad inseguire l’opposizione sul suo stesso terreno. La sfida, giocata quasi interamente in televisione, viene raccontata con toni quasi da commedia; vi sono alcuni passaggi dalla comicità irresistibile, accanto ad altri in cui incombe un cupo senso di minaccia per chi ha osato attaccare il potere. Il film è girato con un particolare formato che riproduce, con effetto vintage, le caratteristiche dei video dell’epoca. In questo modo il regista riesce ad affiancare alle immagini girate negli studi cinematografici, quelle vere, tratte dagli archivi storici. Dietro i toni lievi e il lieto fine ci pare di intravedere una vena amara, nella consapevolezza che la vittoria è stata ottenuta scendendo a patti con le logiche ed i principi vincenti negli anni del riflusso.

 La città ideale, di Luigi Lo Cascio, Italia 2012

La città ideale non è un’utopia per Michele, architetto di origini siciliane. Egli ha scelto di vivere a Siena per le sue tradizioni di senso civico e buongoverno, nel tentativo di realizzare i valori in cui crede, legati in particolare alla tutela dell’ambiente e all’idea di un rapporto armonioso tra l’uomo e la natura. Le sue convinzioni rasentano il fanatismo e gli impediscono di scorgere la realtà delle cose. Un banale incidente lo fa precipitare in un incubo kafkiano, popolato di personaggi grotteschi, e con una ingiusta accusa di omicidio colposo dalla quale sembra impossibile sfuggire. Per Michele è una duro confronto con la realtà delle cose, vista in tutte le sue ombre e compromissioni. Non tutto nel film convince, si avverte ad esempio una certa artificiosità. Però si apprezza il coraggio del regista (che interpreta anche il ruolo del protagonista), alla sua opera prima, nel perseguire una strada originale ed inconsueta nel cinema italiano (che ricorda, per alcune atmosfere, il Tornatore più metafisico), e soprattutto di cercare obiettivi ambiziosi. Colpisce la scelta di Siena, quando già il mito era incrinato, ma prima del crollo di questi ultimi mesi. Spicca nel cast la presenza della madre del regista, nel ruolo di mamma, e dello zio, un ottimo Luigi Maria Burruano, nel ruolo di un avvocato siciliano che fa lezione di disincanto all’ingenuo protagonista.