Un ornitorinco si aggira per Ravenna

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Elogio_de_la_folia 2Secondo Umberto Eco, per capire cosa accade quando parliamo di cani, gatti, mele o sedie, abbiamo bisogno di categorie, che gli schemi cognitivi ci aiutano a creare: per attribuire un significato a qualcosa bisogna riuscire a inquadrarlo, a metterlo in una cornice, a dargli un’etichetta. Uno dei modi, nel mondo dell’arte, per inquadrare un’opera è collocarla in un determinato genere: è una nozione da tutti noi continuamente utilizzata, anche se spesso in maniera inconsapevole, come strumento per individuare caratteristiche testuali a cui riferire significati. Quando andiamo al cinema, ad esempio, sappiamo che stiamo vedendo un melodramma, un western, un horror, un classico, un moderno, un postmoderno, un action movie o chissà che altro, e, a partire da questa etichetta possiamo, ad esempio, valorizzare il film proprio a partire dall’individuazione di una variazione, di uno scarto, rispetto al genere in cui lo abbiamo incasellato.

foto Anna Bertozzi - courtesy Lazagne Art Magazine
foto Anna Bertozzi – courtesy Lazagne Art Magazine

La stessa cosa accade, se ci pensiamo, negli universi dello spettacolo dal vivo. Il plurale non è casuale: chi di noi frequenta, anche saltuariamente, i teatri conosce bene le enormi differenze esistenti tra i pubblici. Ricordiamo almeno due pubblici, ora. Quello “degli abbonati” (della prosa, della lirica, della musica o del balletto): solitamente persone di mezza o tarda età, di buon livello economico e culturale, spesso legate a una concezione tardo-ottocentesca di arte (testocentrismo, idea di bello come abile imitazione della natura, immagine dell’artista che si tormenta per esprimere le proprie emozioni, …). E quello “della ricerca” (nei vari ambiti: musica, teatro, cinema, danza, …): di solito un pubblico giovane (o giovanile), con non grande disponibilità economica (per usare un eufemismo) e una discreta cultura off, politicamente orientati a sinistra (con le mille varianti del caso) e un’attitudine ad accogliere il non (de)finito. I diversi pubblici di solito non si incontrano, non si conoscono, non si siedono accanto, nel buio della platea. Mai. Si sta ben divisi, ognuno nei propri spazi e momenti, avendo cura di non mescolarsi, di non confondersi.

Elogio_de_la_folia 1Dovesse interessare: di tali questioni si è intensamente occupata, negli ultimi quarant’anni, la “sociologia del gusto”, a partire dal fondativo saggio La distinzione. Critica sociale del gusto, di Pierre Bourdieu. La tesi (post-marxista e post-strutturalista, come si può facilmente intuire) del sociologo e filosofo francese è (detta schematicamente): le pratiche di apprezzamento e di consumo culturale sono determinate da network sociali pre-esistenti. Gli studi successivi arrivano a valutare vero anche l’esatto contrario: sono i diversi stili di consumo e apprezzamento culturale a generare le reti sociali. Cioè: abitiamo una società in cui il gusto si converte “all’istante” in forme di relazione tra individui, e il consumo culturale offre una base per interagire tra soggetti con interessi simili. Il gusto diventa un modo per costruire reti, insomma.

Ravenna Festival, facendo incontrare la danza contemporanea di Simona Bertozzi con la musica di Arcangelo Corelli (1653-1713) e di altri compositori a lui coevi (Alessandro Scarlatti, Francesco Maria Veracini e Bernardo Pasquini), coraggiosamente forza, e intelligentemente interroga, proprio questo meccanismo.

Elogio_de_la_folia 3Simona Bertozzi, è una danzatrice, coreografa e performer attiva in Italia (e non solo), in autonomia e/o in collaborazione con varie realtà, tra cui Tòmas Aragay, Laminarie Teatro e il celeberrimo Virgilio Sieni. Chi non conosce il suo prezioso lavoro di ricerca, che certo meriterebbe spazi e pensieri ben più approfonditi e articolati di quelli possibili in questa sede, ascolti come lei stessa l’ha descritto: «Nel corpo ritrovo l’elemento puro, primordiale, così come l’architettura complessa e virtuosa. L’imprevedibilità della trasfigurazione così come il segno più riconoscibile, semplice e sottratto, figurativo e umano. Disciplina, sforzo, vigore e abbandono, potenza e  decorazione, il segno  dell’humanitas: un tracciato antropologico del verbo corporale. Al corpo, quindi, la facoltà di dare vita ad una “narrazione” che si compone di azioni e gestualità “non narrative”. È l’urgenza del corpo che si rende pensiero e forma. Corpo in quanto architettura complessa in grado di destrutturarsi, deformarsi, riallinearsi e ricomporsi, immagine privilegiata tra le immagini, filtro nevralgico della stratificazione cosciente e del patrimonio percettivo. Lo spazio scenico sussiste per dislocazioni, per traslazioni, apre precipizi al suo interno e piani di sospensione. I cedimenti, i picchi alla verticalità, assunti dal corpo, lo sezionano e lo ridisegnano. Il tempo si congela, si frantuma, lo si gusta come durata. Le immagini si “informano” per circolazione di senso,  per la presenza di una forza fisica e di un corrispettivo emozionale, che segnano ma non finalizzano. Composte di materiale visibile e del loro “negativo”, le immagini divengono così luogo privilegiato del dialogo con l’osservatore».

foto Anna Bertozzi - courtesy Lazagne Art Magazine
foto Anna Bertozzi – courtesy Lazagne Art Magazine

Esattamente a proposito del “dialogo con l’osservatore”, e dunque delle molteplici ricezioni dell’opera (oggetto della presente riflessione), in un altro contributo, scritto in collaborazione con Marcello Briguglio, Simona Bertozzi parla della «necessità di un intervento attivo dell’osservatore, invitato a ricavarsi una propria collocazione rispetto alla visione». E prosegue: «Nella grande varietà di interazione fra il pubblico e l’evento artistico, mi sembra che a volte si perda quel che per certi versi dovrebbe essere la natura più vera di questa interazione, lo “specifico” di cui ritengo depositario il pubblico nel suo rapporto più ovvio con l’arte: il suo commuoversi con l’opera, nel senso di muovere con l’opera».

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Vediamo dunque come si è mosso il pubblico del Ravenna Festival, con questo Elogio (o, almeno, come mi è parso lo abbia fatto il pubblico seduto a fianco a me: non è certo questione di trovare l’assoluto, qui, semplicemente si tratta di condividere uno sguardo e qualche pensiero).

Dunque. Al mio fianco c’erano entrambi i pubblici, incarnati dalle due signore sedute alla mia sinistra e alla mia destra.

Alla mia sinistra, con permanente vaporosa, mocassini lucidati e vistosi gioielli sparsi, un’esponente del pubblico “degli abbonati”. La signora ha ascoltato le varie esecuzioni musicali seguendo col dito il programma di sala, e indicando via via al marito, seduto di fianco a lei, a che punto si era arrivati con gli ascolti. Da mugugni, sbuffi e versetti, mi pare di poter affermare che la Nostra abbia vissuto quasi come un ingombro la presenza dei danzatori, che si frapponevano visivamente e sonoramente fra lei e la Musica (maiuscola non casuale, qui). Alla mia destra, con sandali, pantaloni indiani e fisico da ballerina, una giovane donna, cui le pur pregevoli esecuzioni musicali dell’Ensemble Delfico devono essere sembrate quantomeno secondarie, rispetto al lavoro coreografico.

Elogio_de_la_folia 6Per tutto quanto detto finora, credo che stia nel coraggioso progetto culturale di Ravenna Festival, che si potrebbe sintetizzare nel voler mettere vicini i mocassini e i sandali (in barba alla “sociologia del gusto” e alle inevitabili parziali insoddisfazioni dell’uno e dell’altro pubblico), il principale merito di questa lungimirante proposta.

Per quanto riguarda il contenuto del lavoro coreutico: Simona Bertozzi è una danzatrice davanti alla quale “trattengo a stento l’ammirazione” (come direbbe Ennio Flaiano), le sue coreografie spezzate e vorticose mi parlano di questo addolorato presente, mentre la dinamica energia dell’azione (qui sottolineata da abiti di scena smaccatamente “sportivi”) sembra raccontare una ferrea volontà di reazione allo sfacelo. Tra i suoi bravi danzatori, Andrea Sassoli è un incanto di fragilità e dedizione. Dunque, non si può che ringraziare.

Le progressioni (ripetizioni di brevi moduli, ogni volta su gradi della scala diversi) della Follia, danza con cui Arcangelo Corelli nel 1700 chiude la sua op. V, sono tra i momenti più emozionanti mai ascoltati. Ancora: ringraziare.

Elogio_de_la_folia 5Dovesse interessare: la corelliana op. V è una raccolta di dodici sonate a due per violino e basso continuo (sei da chiesa e sei da camera); le sonate da camera, come ad esempio quelle qui eseguite, sono di fatto delle suites, secondo la consuetudine sei-settecentesca di riunire e stilizzare le musiche per danza in successioni di brani, alternativamente lenti e veloci e unificati dall’uso di una medesima tonalità. Tra i molti effetti di questa prassi, ciò ha avuto il risultato di far inserire la musica finalizzata al ballo, sino ad allora considerata minore, anche in composizioni di musica “alta”. Anche in questo senso, è certo appropriatissimo l’incontro tra questo repertorio e la danza, nel progetto voluto dalla ventiquattresima edizione del prestigiosissimo festival ravennate: un’edizione particolarmente attenta alle danze (anche qui il plurale è da intendersi fenomenologicamente intenzionale).

foto Anna Bertozzi - courtesy Lazagne Art Magazine
foto Anna Bertozzi – courtesy Lazagne Art Magazine

Unico neo (volendo andare a cercare il pelo nell’uovo): forse per mancanza di un tempo sufficientemente lungo di prove assieme, l’ensemble dei musicisti e quello dei danzatori parevano un po’ marciare ciascuno per proprio conto. Ciascuno a eseguire, seppur con splendida asciuttezza, la propria partitura, senza troppo spesso davvero incontrare l’altro. Ma quel che più conta, a mio avviso, nell’operazione ravennate, è la “prospettiva archeologica”, per dirla con Foucault, secondo il quale la vera ricerca archeologica non si occupa tanto delle certezze, quanto delle “conoscenze imperfette” e delle “lingue fluttuanti”. Lingue che, fluttuando, possano per un momento, utopisticamente, far sedere vicini sandali e mocassini. A Ravenna, per dire, l’altra sera è successo.

NB: Per molti dei riferimenti qui utilizzati, sono grandemente debitore al prof. Claudio Bisoni dell’Università di Bologna, che sentitamente ringrazio.

MICHELE PASCARELLA

Omaggio ad Arcangelo Corelli nel terzo centenario della morte, Elogio de “la folia”, coreografia Simona Bertozzi

Visto a Ravenna, Teatro Rasi, il 12 giugno 2013 info

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