Madre provetta

0
701

fecondazione-in-vitro-2«Ci vogliono le uova fresche…!» dice il medico, manco mi stesse dando la ricetta per il mascarpone. Ho sempre adorato quel modo schietto di parlare che assumono i professionisti per semplificare le cose e renderle accessibili a chiunque. Si percepisce al volo che è gente abituata ad affrontare argomenti delicati e lo fanno col massimo della disinvoltura.

Mi propongono una visita guidata nei loro laboratori di fecondazione assistita all’avanguardia. Devo indossare il camice verde, la mascherina sulla bocca, la retina per i capelli e gli zoccoletti di gomma. Mi sento importante come un’inviata speciale del New York Times e vengo presentata allo staff come la giornalista.

Puntuale si presenta l’embriologo. Mi porta nel suo studio per darmi qualche nozione tecnico-scientifica sull’argomento fecondazione assistita. Riconosco subito quel sorriso. È il tipico sorriso di chi ti dice si rilassi mentre te ne stai nuda, coi piedi nelle staffe, a fissare una luce al neon.

Ho preso appuntamento in una clinica di fertilità privata per avere delle risposte sul percorso che devono affrontare le coppie che non riescono ad avere figli in modo naturale. È un problema piuttosto diffuso, ma c’è ancora una certa reticenza a parlarne apertamente.

Lo ascolto e mi sembra di capire che la teoria sia rimasta la stessa, quel che è cambiato è la pratica. Evidentemente da quando mi hanno spiegato come si fanno i bambini ad oggi sono uscite nuove ed aggiornatissime versioni di Kidcreator, un po’ come Photoshop ma applicato alla genetica.

Nel caso di coppie con problemi di fertilità, la fecondazione avverrà in vitro. Ognuno deve dare il proprio contributo. Così come la Natura, anche la Scienza riserva i maggiori disagi al genere femminile. Prima del prelievo degli ovociti da fecondare, la donna deve sottoporsi ad una terapia ormonale che ne stimoli la produzione, regolari prelievi del sangue e minuziose visite ginecologiche. L’uomo deve semplicemente tornare a fare quello che faceva da single, ma nel bagno di una clinica. Riesco ad avere accesso ad uno di questi spazi dedicati ai produttori (testuale definizione): un bell’ambiente pulito, dotato di un video ed una vasta scelta di giornaletti.

L’embriologo che si è preso la briga di farmi da cicerone, mi spiega che ogni Paese ha il proprio modo di allestire la stanzetta destinata a questa funzione. In Libano, ad esempio, è arredata come un boudoir lussurioso, ricoperto di pelle e stoffe preziose. Aggiunge anche che gli ospedali pubblici in Italia non sono così attenti all’estetica: a quanto pare si deve trovare la propria intimità nella cabina di un bagno con un’inserviente indiana che dà lo straccio subito fuori dalla porta e una fila di uomini, dotati di barattolino, che aspettano il loro turno.

Un’altra differenza tra il pubblico ed il privato, oltre al prezzo, è che qui vengono sottoposte al trattamento anche donne sopra i quarant’anni, che, al contrario, in una struttura statale difficilmente verrebbero accettate. La fecondazione in vitro ha dei costi molto elevati e di conseguenza i casi più a rischio non sono presi in considerazione.

Bisogna precisare che in Italia è consentita per legge solo la fecondazione omologa, cioè con i gameti appartenenti alla coppia. In altri Paesi, come ad esempio in Spagna, è legale anche quella eterologa, cioè utilizzando gameti di terzi. Molte coppie che hanno alle spalle diversi tentativi fallimentari, decidono di viaggiare alla ricerca di una nazione con un sistema legislativo più flessibile del nostro. Si parla di vero e proprio turismo riproduttivo. Preciso che andare fino a Rimini per rimorchiare non può essere considerato parte di questo fenomeno.

All’interno della clinica incontro la psicologa che dona sostegno alle coppie. Ha organizzato una terapia di gruppo per far uscire allo scoperto le ansie e le paure degli aspiranti genitori. Mi conferma che molte coppie nascondono quello che stanno affrontando persino a genitori ed amici. Lei ne fa una questione culturale: fin dalla più tenera età si crede che il destino delle donne sia di diventare madri, ma nessuno accenna al fatto che potrebbe anche non succedere. Il risultato è che di fronte ad un problema fisico, la maggior parte di esse si colpevolizza. Inoltre, la terapia ormonale a cui sono sottoposte può causare forti scompensi emotivi. «È come essere perennemente in fase premestruale» spiega. Mentre ascolto le sue parole rifletto sull’ironia del destino: prima sperimentiamo ogni sorta di contraccettivo per non procreare ed in seguito siamo disposti a pagare dei bei soldi per ottenere proprio il contrario.

Durante il mio tour faccio un’altra scoperta interessante: in Italia è possibile congelare sia gli ovuli che il liquido seminale. Pare che in America vada molto di moda. Le ragazze previdenti, una volta finita l’università, corrono a congelare i propri ovuli per salvaguardarne la qualità. Li utilizzeranno più avanti, una volta trovato un buon lavoro ed un compagno. In questo modo la fecondazione dovrebbe avere più alte probabilità di riuscita.

La visita guidata continua.

Nonostante la mia paura ancestrale per gli ospedali, le sale operatorie e gli strumenti chirurgici, inizio a sentirmi a mio agio in mezzo a questa gente così rilassata e affabile. Sono tutti sorridenti, disponibili e non lesinano sulle pacche. Un’infermiera molto gentile mi fa sbirciare in un microscopio puntato su un campione di liquido seminale: tanti piccoli spermatozoi guizzano allegramente in ogni direzione. Mi mostrano anche delle foto fatte ad un embrione nelle prime fasi di sviluppo. Inizio a pensare che ci sia un lato poetico nell’osservare la genesi di una vita così da vicino. Poco dopo mi ritrovo dietro al vetro della sala operatoria a guardare una donna a gambe aperte a cui vengono innestate nell’utero, attraverso una sonda, le proprie uova, precedentemente fecondate in vitro.

D’accordo, qui si perde un po’ di romanticismo… ma ho visto di peggio, giusto? Ho viaggiato, ne ho viste di cose, ci vuole ben altro per… Oddio, inizio a sudare. Caldo, vero? Scusate, mi siedo un attimino qui fuori. E poi buio.

Vengo svegliata dal suono delle risate. Apro gli occhi e vedo il mio cicerone intento a tenermi i piedi in aria, circondato da un crocchio di medici ed infermieri che si fanno beffe di me. Capisco cosa è successo e sorrido anch’io. Arrivano con un lettino e si aspettano che io ci salga. No e poi no. Lo sapevo, non dovevo fidarmi. Vogliono usarmi come cavia… Le mie vecchie paure sugli ospedali riaffiorano e cerco con lo sguardo le vie di fuga. Alla fine cedo alle loro pressioni e mi lascio portare in una stanzetta in penombra a bere acqua zuccherata.

Dopo qualche minuto, mentre sono ancora in bilico tra il sonno e la veglia, qualcuno mi rivolge la parola: «Ma non è che sei incinta?». No, caro, sono ancora nella fase della vita in cui mi imbottisco di ormoni per non esserlo, ma grazie per averlo chiesto.