Il nostro privato Calcutta

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Calcutta lrSeppellire l’ascia di guerra nel proprio ventre, per non farla cadere nelle mani sbagliate.

Cercare nelle tasche un’altra dose di felicità, piangere nel sonno, sbavare.

Se solo almeno non ti avessi mai incontrato.

Il mio materialismo scientifico mi impone di considerare la vita come un evento unico e irripetibile, non credo cioè in future consolazioni, nè in pene per le mie attuali sofferenze o malefatte, sono convinta che non esista un risarcimento materiale o ultraterreno che possa ripagarci esattamente di quello che abbiamo perso.

Odio i dilemmi degli onnivori, come leggere un romanzo, come rifare il letto ogni mattina.

Essere al vertice della catena alimentare offre soprattutto a noi dello Human Beeing numerosi vantaggi, e ci espone contemporaneamente ad infinite possibilità di manipolazione, da parte di noi stessi e dei nostri simili.

E’ per questo che mi ritrovo alle 19.30 davanti al bar Impero, in via dell’Indipendenza, a Bologna con le mani nelle tasche, testa alta/sguardo fisso sulle facce dei passanti, manco fossi un pusher: io sono perennemente puntuale, Amelia no.

Quando arriva poi però si fa perdonare (perchè alcune donne sono più femmine delle altre?), perchè ha dei modi soffici e un tono di voce che su di me ha presa rapida e potente: resetta tutto all’istante.

Mentre mi racconta quello che le è capitato in questi due anni che non ci siamo viste, camminiamo senza fretta verso il concerto di Calcutta.

Parliamo del perchè un ragazzo sbagliato è meglio della dieta Dukan e di quanto siamo diventate intransigenti nei confronti dei concerti iper affollati.

C’è veramente troppa gente quando arriviamo al Lestofante e in fondo al locale , circondato da un gregge di astanti medio interessati, c’è Calcutta seduto su di uno sgabello con la sua semiacustica e penso che sembra proprio un orco delle favole.

Lo intravedo appena e non riesco a sentire assolutamente nulla oltre la coltre spessa di chiacchiericcio assordante in tipico dialetto da studente fuori sede.

Così esco, aspetto che il concerto finisca e quando la gente comincia a defluire raggiungo Calcutta al bancone mentre parla con Marco Pecorari. Gli chiedo se ha voglia di suonare qualche cosa, solo per me ed Amelia: in fondo negli eventi salienti della storia, dall’Ultima Cena fino ad arrivare allo Sbarco sulla Luna, ci sono sempre stati  pochissimi presenti. Ci porta nel bagno del locale senza malizia. È un orco piccolo visto da vicino. I capelli sporchi e scuri gli incorniciano perfettamente il viso “come ogni vero punk dovrebbe essere”, penso. Ha dei modi gentili e un accento romano dolcissimo.

Ed ecco il risultato:

Passo la vita intrattenendo me stessa, nella segreta attesa di trovare qualcuno con cui comunicare.

Il problema principale di mio nonno quando aveva l’età di Calcutta era di non farsi sparare nella schiena.

Noi che di guerre ne abbiam fatte solo di immaginarie, affrontiamo nemici meno concreti e che per questo possono diventare affanni senza limiti, con contorni sfocati e immensi.

Calcutta li prende tutti e per i fondelli, uno ad uno e li racconta, attraverso la prosaicità di un episodio di vita: ogni canzone è una sorta di innocua rappresaglia che riconsidera il vissuto personale, riflette  situazioni in corso quasi come se Calcutta si stesse togliendo un granellino dall’occhio, faccia a faccia con se stesso.

Per questo piacerebbe molto a Mogol e a Battisti, per alcuni versi ricorda Bugo ma con l’ironia intelligente di un poeta beat: così su due pied-a-terre in un bagno di in un localino nel centro di Bologna, veniamo invitati ad un volo di fantasia verso un posto tremendo in provincia di Latina, falso come la bonifica dell’Agro Pontino.

Il risultato è inquietante e post-romantico:

Un motivo per respirare. La nostra vita è guidata da un pianista invisibile, che per quel che riguarda me è lo stesso che sta scrivendo in questo momento.

Non troveremo che futili distrazioni negli altri, eventi che coinvolgono determinate parti del corpo, che includono qualche dolore passeggero forse, e noia, noia, noia di voli di oche scagazzanti, di difetti che vanno e vengono.

Ma è da questi episodi che distilliamo il nutrimento per quel pianista, per fare in modo che continui a mandare sangue al cuore.

“Amore significa non doversi mai tirare su. Amore significa non doversi mai tirare su – una sega.”

ANTONELLA  GARRO

Visto il 30 novembre a Bologna, Lestofante, via San Petronio Vecchio 15/b