Tra le infestanti diffuse nelle nostre zone, la vitalba (Clematis vitalba, Ranunculacee) è una delle più difficili da tenere a bada: le sue liane, lunghe fino a venti metri, si avviluppano intorno ad alberi e recinzioni, e crescono rapidamente formando grovigli inestricabili. Tuttavia, esaminandola da altri punti di vista, anche la vitalba è una pianta interessante, e invece di tentare di eliminarla (missione quasi impossibile!) possiamo imparare a utilizzarla.
I suoi lunghi tralci sono tradizionalmente utilizzati per la tessitura di cesti (come il gavagn, tipico cesto romagnolo perla raccolta della frutta) e per legare le piante ai loro sostegni: si raccolgono in inverno, e si possono usare freschi, oppure se ne fanno dei rotolini e si fanno seccare; dopo un ammollo di un paio d’ore tornano flessibili. A scopo alimentare, in primavera si raccolgono i getti giovani, da mangiare cotti, ad esempio saltati in padella o nelle frittate, da soli o insieme ad altre erbe selvatiche; consumati in modiche quantità, hanno proprietà diuretiche e depurative. Inoltre la vitalba è pur sempre una clematide, parente di altre specie introdotte nei giardini a scopo decorativo, ha fiori profumati e graziosi frutti simili a fiocchetti pelosi; se potata e “indirizzata” opportunamente, dà al giardino un tocco romantico e selvaggio… alla Tarzan.
Un anno fa, avendone potata una notevole quantità, ho costruito una “compostiera biodegradabile” che uso tuttora, molto facile da riprodurre: si pianta un certo numero di paletti, distanti tra loro 15-20 cm e alti da terra circa 1,20 m, a formare un circolo o un rettangolo, poi si procede alla tessitura con le liane, meglio se grosse e ramificate, passando alternativamente davanti a dietro a ogni paletto, fino ad arrivare in cima. Buona vitalba!