Grand Anderson Hotel

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Una scena del The Gran Hotel Budapest Hotel di Wes Anderson, 2014
Una scena del The Gran Hotel Budapest Hotel di Wes Anderson, 2014
Una scena del The Grand Hotel Budapest di Wes Anderson, 2014

 

Wes Anderson come Scorsese, in fondo. Non cerca il capolavoro ma dà lezione di stile, classe e leggerezza superiore.

Poi: Scorsese con il suo Lupo delle azioni spazzatura non cerca il capolavoro ma alla fine lo trova lo stesso. Invece Wes, coerentemente, non lo cerca e non lo trova. Racconta una bella fiaba – con uno spiritello noir dietro, come tutte le fiabe belle – a metà film accelera nell’assurdo, lascia sorridenti e vagamente basiti, finisce per conquistare. E il film resta un’opera favolistica e favolosa, realizzata con mano da fuoriclasse, recitata benissimo. Da rivedere, anche due volte al cinema.

Film leziosetto, certo. Ma al servizio di una storia perfetta per essere raccontata in maniera leziosa. Allo stesso modo in cui La Grande Bellezza è eccessivo, fastidiosamente estetico e persino volgarotto ma tuttavia calzante alla perfezione una storia dipinta sulle stesse tinte, che sembra richiedere esattamente quel registro (o forse è la storia che in Sorrentino ormai viene scelta al servizio perfetto di un registro sempre sopra le righe?).

Ad ogni modo, film maiuscolo quello del Grand Budapest Hotel.

Anche se in un’ipotetica classifica degli ultimi mesi – ad oggi – la delirante meraviglia di Scorsese resta imprendibile. E Lars pure, tutt’altro che leggero ma neppure così cupo, con un film che guarda da altezze siderali le chiacchiere noiose dei suoi detrattori. (Antonio Gramentieri)