Il mattarello arriva in Cambogia

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Dopo dieci giorni dal nostro arrivo in Cambogia, non sono ancora riuscita ad entrare in contatto con l’anima di questo paese e del suo popolo…

Come ogni turista proveniente dalla Thailandia, abbiamo dedicato la  prima tappa del viaggio ai templi di Angkor. Sono davvero meravigliosi. Enormi e maestosi complessi preservati nei secoli che mostrano la grandezza e la magnificenza di quello che fu l’impero Khmer. Alcuni perfettamente preservati, altri dove la natura ha ripreso il potere sulle creazioni dell’uomo e mostra tutta la sua potenza. Alberi altissimi con le enormi radici intrecciate alle mura dei templi: da rimanere a bocca aperta! Visitare questi luoghi ti regala l’ebrezza di un Indiana Jones e ti basta cercare un piccolo angolo lontano dalla marea di visitatori (orde e orde di turisti cinesi con cappelli e bandierine arrivano continuamente), che ti sembra di essere solo, circondato da questi colossi millenari. E non importano più neanche i 40 gradi e l’umidità al 95 percento, torni in albergo coperto di sudore e polvere, ma pienamente appagato.

Poi però l’estasi da sito viene completamente spenta dal caos di Siem Reap: la città a misura di turista dalla quale partono tutte le visite guidate ai templi. Pub, alberghi, ristoranti, massaggi, pedicure, pedicure coi pesci, mojito, birra, tuk tuk e il tutto a centinaia. Vieni chiamato continuamente “ladies” “madam” per comprare qualunque cosa, e basta un momento di esitazione che sei già coinvolto in una sfiancante contrattazione, anche se non volevi comprare nulla. Perché i prezzi, ovviamente, sono  da turista! “Only 1 dollar” è la frase che senti di più durante la tua giornata.

aerobica

Ma la nota più deludente è il cibo. Ripetitivo, piuttosto simile alle cucine dei paesi vicini molto più famose (Thailandia e Vietnam), e della “newly famous khmer cuisine” solo l’ombra sbiadita. Rimangono i cavalli di battaglia che proprio, né io né Sanja, abbiamo lo stomaco di assaggiare: le tarantole fritte e le uova con tanto di feto piumato (anche no!).

Soggiorniamo in una guesthouse a conduzione familiare, e vista la nostra lunga permanenza, pensiamo di chiedere una mano per il nostro progetto ai gestori gentili. Nessun entusiasmo. Direi proprio che non gli interessa, e decidiamo di lasciar perdere.

La prima impressione, che ahimè abbiamo in diversi contesti, ricalca la frase che ci ha ripetuto in tassista mentre ci portava a Siem Reap dal confine “In Cambogia, no money, no honey”. Senza soldi, non sei interessante.

Sappiamo che questo è un paese estremamente povero (passi dalle campagne e vedi ancora la maggior parte delle case in legno o in foglie di banano), con un altissimo tasso di corruzione e con ancora l’ombra incombente del genocidio dei Khmer rossi e la successiva guerra civile, che hanno lasciato il paese in ginocchio e straziato l’anima dei superstiti. Ma non riusciamo proprio a digerire che il turista non sia altro che un portafoglio con le gambe.

Però, quando ci spostiamo nella capitale Phnom Penh e visitiamo il museo di Tuol Sleng la follia del periodo dei Khmer Rossi ci colpisce con tutto il suo orrore. Le foto delle vittime, che venivano meticolosamente schedate al loro ingresso al centro interrogatori S21 ed ora sede del museo, sono esposte in grandi pannelli le une accanto le altre.

S21

Davanti a te i fantasmi di Tuol Sleng.

Centinaia di persone sono davanti ai tuoi occhi, diventando, d’un tratto, tremendamente reali! Così iniziamo a capire la sofferenza di questo popolo e come anni di fame, morte e privazione abbiano plasmato le persone.

E finalmente oggi uno scorcio di cortesia cambogiana, senza che fosse richiesta. Raggiunta la tipica birreria ristorante piena di locali seduti a pasteggiare, ordiniamo un po’ di carne alla griglia e, come già successo in thailandia, ci viene servito il solito piatto di verdura  cruda (cavolo cappuccio, cetriolo, pomodoro verde, fagiolini, morning glory- Ipomoea acquatica, coriandolo, menta), una ciotola su un piattino, bacchette e lime affettato. Inizio amabilmente a sgranocchiare una fetta di cetriolo, che un cameriere si avvicina, prende la ciotolina di Sanja, dicendo “Moment, I show you”. Due cucchiaini dell’ottimo pepe nero di Kampot, uno di zucchero, lime spremuto ed ecco pronto il condimento per la verdura o anche la carne, volendo.

Finalmente scopriamo qualcosa di autentico, che abbiamo già ridefinito, il pinzimonio alla cambogiana! E’ buonissimo! Ecco a cosa servivano sempre tutti quei coccettini e spezie sul tavolo!!!

Spero proprio che questo sia solo l’inizio, l’apertura di uno spiraglio nella cucina tradizionale…