It’s okay to eat fish ‘Cause they don’t have any feelings

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Settembre sta finendo e con esso i dubbi e le insicurezze che di solito la stagione estiva porta sempre via con se.

Da giugno mi sveglio tutte le mattine con un senso di angoscia che deriva molto probabilmente dall’età che avanza e dallo stand by da vacanze forzate: qualcosa che non riesco ancora bene a gestire. Sono disoccupata da 3 anni, nel senso che in tale lasso di tempo (e non per mia scelta) ho avuto ben poco a che fare sia con l’articolo di 18, sia con la legge Biagi: do ripetizioni a minorenni in comodato d’uso, ho rapporti di lavoro occasionali e non protetti con varie realtà locali che mi trattano da voucher, affitto casa mia a discapito di B&B e alberghi della mia città, che fanno tutto come si deve, attraverso un sito internet che molto probabilmente tra qualche mese verrà chiuso dalla guardia di finanza.

Questo mio arrabattarmi e incespicare fa di me una persona autosufficiente e punibile a norma di legge e soprattutto mi rende impossibile l’accesso a qualsivoglia forma di tutela. E’ molto difficile avere un sostituto d’imposta quando si è superata l’età di apprendistato. E’ quasi un miraggio, un miracolo che ieri però è avvenuto.

Un tale sulla trentina di origini Indiane, triste e dall’aria cadaverica, ha aperto una pizzeria d’asporto nella via affianco casa mia a Bologna.  Non parlando bene l’italiano, ha  deciso di assumere una cassiera endofita che si occupi degli ordini telefonici e su internet e io, che sono intollerante al glutine, mi sono prontamente candidata: stasera comincio, lavorerò per un totale di 21 ore settimanali per dieci euro l’ora (e in regola). Il colloquio l’ho passato perché al titolare è piaciuta moltissimo la mia borsetta con il logo di Sea Shepherd.

Per chi non lo sapesse, la Sea Shepherd Conservation Society è un’organizzazione no-profit, formata da volontari (veri non come quelli delle feste dell’unità) che con la forza degli speronamenti difendono l’ ambiente marino e la sua fauna, in particolare i cetacei, dagli attacchi dei contrabbandieri.

L’uso della forza ha fatto si che Greenpeace prendesse le distanze da questa organizzazione dichiarando: “[…] non andremo ad aiutare persone che hanno dichiarato che useranno la violenza. Siamo qui per salvare le balene, e non per mettere a rischio la vita delle persone.”

Le persone in questione sono “pescatori” che utilizzano metodi illegali per la pesca del tonno, utilizzando dei sistemi di aggregazione per pesci (FAD) che causano la cattura accessoria di squali, tartarughe e balene.

Cosa sono i FAD?

Un oggetto, lasciato in mare per giorni o mesi, specialmente se di natura organica, si ricopre via via di alghe e microrganismi, nutrimento di piccoli pesci che colonizzano in seguito l’oggetto, a loro volta oggetto di attenzione di pesci più grande e così a salire fino ai grandi predatori. I Fish Aggregating Device sono vere e proprie “riserva di caccia”, a causa delle numerose specie che li colonizzano, entrando a far parte del microcosmo. 

Tali dispositivi Fad sono utilizzati dai grandi pescherecci per incrementare notevolmente l’efficienza della pesca: realizzati con i materiali più svariati, plastica, legno, bambù e foglie di palma sono largamente utilizzati perchè permettono di risparmiare tempo, maggior pescato, minori costi, ma non sono affatto selettivi e, dunque, quando si gettano le reti si tira su di tutto ed è una strage.

Non so per quale motivo al mio titolare indiano stia simpatica questa associazione di eco pirati che si battono contro le multinazionali col pretesto di difenderei diritti di pesci e mammiferi acquatici. Sarebbero tanti i collegamenti e le ipotesi che si potrebbero azzardare.

Di sicuro a tutti noi, nonostante tutto e al di là di ogni sorta di polemica, stanno simpatici i pescatori che ancora oggi a discapito delle leggi dell’economia, pescano ancora con le canne come  Valentine Jelestine e Ajesh Binki. Loro a differenza delle balene non hanno avuto molte associazioni accorse in difesa dei loro diritti e a differenza dei due gentiluomini della marina, a casa non ci torneranno più.