Leggo le poesie di Alessandro De Santis nel verde fintamente acquatico dei giardini Margherita. Metro C é il titolo della raccolta uscita per Manni Editore. Mi infilo di taglio tra le poesie di De Santis. Altri fantasmi cercano la mia vicinanza dove il verde diventa carne e plastica che rimbalza tra sorrisi e ammiccamenti. Metro C e l’Europa, la Roma sintomo e malattia: la poesia che si fa viaggio underground dove il voyeurismo è reso rarefatto negli scatti; dove le presenze “borgatare” della città eterna prendono il passo in controtempo dai pasolinismi, dai pariolismi, dagli sperimentalismi ma non dai “Giuochi Istmici” titolo della poesia che chiude la raccolta “ossa e occhiaie vengono fuori/e la gente scalpita,/mescola da bere con il ricordo,/in un banchetto scomodo,/dove il rumore di fondo è un/ballo felice e rovinoso”.
Il poeta è sottrazione tra detrazioni e accumulazioni di paesaggi detritici; qui lo sguardo acquisisce il plusvalore nel ritaglio rubato all’angolo di uomini che non conoscono geometrie. Un minimo battaglione di presenze che scompaiono nel rumore quotidiano assumendo un valore a tratti epico, “la sua assenza stringe il cuore:/è qui e altrove,/senza requie/In strada,/sangue d’un cane” (da “Grotta Celoni. Ore 23,55. La pioggia scoraggia. Vuoti).
Luoghi, fermate di un peregrinare senza sconti e orari che scandiscono la cifra mutevole dell’emotività di De Santis (che poi si appella all’ironia e alla candeggina per levare peso all’immanenza del picaresco vivere) nell’instagrammare lo scivolamento dalle periferie urbane dell’anima.
Da “Il cielo interrato” (Joker, 2006)
Claustrofamilia
L’esatto sorriso del male
dove l’attesa non arriva più
si rimette spostata da qualche parte
Contiene il lento sparire del resto
l’ondulazione impercettibile in casa d’altri
Poi tanto la vestizione succede
(e) tu per primo sviti con un’unghia sistemi collaborazionisti.
Da “Metro C” (Manni, 2013)
Graniti
Ore 09,20. Un lupo mannaro o forse Kappler
Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire
Aveva infilato le mani chiuse a pugno nelle tasche
ed era risalito sin dentro alla campagna
Fatto inventario dei pali dei filari
piantati come croci, sporcato la punta
delle scarpe nello stabbio
Ore ed ore si era soffermato,
intere ere geologiche e crisi di governo
prima di vedere quella farfalla posarsi
sulla rete metallica del suicida
Senza dote di stelle lo raggiunse brusca la notte
gli aprì la bocca come a prender fiato.
Vide l’esatto diametro del cuore umano
e pensò che fosse proprio una bella
giornata per ricominciare, per un attacco aereo
negli occhi ancora il rapinoso schianto di quando
quel ponte se n’era sparito ghiotto.
Villa San Pietro
Ore 11,05. Un fumetto. E un bambino col gilet
Ha paura la mattina, Jacopo
sente che l’abisso gli frenerà il respiro
ha paura che i nipoti vivano
impotenti, con un vulcano sotto i piedi
e macchie grosse così sulla pelle.
Non vuole pensarsi depresso, Jacopo
pronto neppure per dieci
euro sgualciti nella tasca.
Cammina e urla, e gli dispiace,
ma urla così piano che lo strano
frutto che ha appeso al cuore, non
oscilla neppure un po’.
Alessandro De Santis è nato a Roma nel 1976 e vive a Lanuvio, paese dei Castelli Romani. È laureato in Storia Moderna e Contemporanea.
Scrive anche narrativa, in particolare racconti, che ha pubblicato in alcune antologie oltre che su diverse riviste cartacee e online. Ha diretto il blog letterario Luminol ed è editor e curatore dell’omonima collana di narrativa italiana breve per le Edizioni Socrates. Suoi testi poetici sono stati pubblicati su diverse riviste: Sagarana, El Ghibli, Niederngasse, Letras e Nazione Indiana. Ha esordito nel 2006 con la silloge: Il cielo interrato (Joker Edizioni) e nel 2013 è uscito il suo secondo lavoro: Metro C (Manni Editori); alcune poesie di quest’ultimo libro sono state antologizzate in Cile e ne è in corso una traduzione in lingua araba.
Alessandro De Santis, Mtroc, Manni Editore, 2013