Cooper: blues concreto, verità astratta

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MIke Cooper
MIke Cooper
Mike Cooper

Dal Blues si parte, o si arriva. O si passa. O si torna. E il bello è che, comunque, lo si reincontra sempre, in mille fasi del viaggio. Sotto ogni pietra, nel bel mezzo del cammin. Dal folklore alle avanguardie, dal Mississippi al Mali (e viceversa), dall’afro-America ai caffè del Greenwich Village, dai fricchettoni tardi ’60 a Zorn. Il blues non come musica di genere in senso stretto ma come verità astratta che cuce e unifica la sintesi più verace fra culture.

Il bluesman sincero è, fondamentalmente, un viaggiatore. E quando riesce a schivare le trappole della maniera, le sabbie mobili della musica che si guarda le scarpe in attesa di un altro assolo, può essere uno dei viaggiatori più interessanti a cui sedersi accanto.

Area Sismica – realtà collinare mai abbastanza benedetta nel suo continuare una strenua, estrema resistenza all’omologazione dei cartelloni – si apre a un’idea di world blues libero ed espansivo, ospitando Mike Cooper in formazione allargata. Inglese, appassionatosi di blues mentre Alexis Korner catechizzava l’Inghilterra a suon di dodici battute. In quel magico esatto momento in cui l’incrocio fra dischi dei vecchi maestri e irruenza dei nuovi discepoli apriva in un attimo le porte al rock più roccioso di Page e Plant, di Keith e Mick, di uccelli d’aia, e altri stavano più vicini alla fonte.

Possiamo pensare a Cooper come a una specie di Cooder britannico, con una p al posto della d, senza frequentazioni hollywoodiane e magari con la mano un po’ meno ficcante, che a un certo punto comincia ad utilizzare il blues come minimo comun denominatore fra mille folklori possibili. Alla scoperta di un blues come passaporto permanente per esplorazioni senza confine.

Già dai primi ’70 all’idea purista si sovrappone una nuova sensibilità aperta, spaziale, figlia della frequentazione con jazzisti dediti alla sperimentazione, con dilatazioni che guardano all’Oriente e all’Africa. L’inserimento di rumori ambientali presi altrove, i cosiddetti field recordings, lo mette già in linea con una sensibilità contemporanea, che il confine delle dodici battute più scolastiche è inadatto a contenere.

Si passa al lavoro sui film, alla specializzazione nei suoni slack key delle Hawaii (e rispettive camicie, che colleziona), al lavoro su un’idea di suono astratto che dialoghi con i suoni della natura senza troppa preordinazione. I ragazzi dell’Area Sismica scrivono questo del suono che è lecito aspettarsi, e fanno centro: «Una sorta di incontro immaginario tra Charley Patton e Albert Ayler, Stockhausen o Scelsi e Blind Boy Fuller, Sonny Sharrock, Sun Ra e Penderecki».

Adesso Mike Cooper abita a Roma, e si presenta in Romagna con un nucleo di ottimi improvvisatori di area jazzistica (Roberto Bellatalla al contrabbasso e Fabrizio Spera alla batteria) e con Geoff Hawkins ospite ai sassofoni.

ANTONIO GRAMENTIERI

 

28 febbraio, Forlì, Truth In The Abstract Blues Feat. Geoff Hawkins, Area Sismica, Loc. Ravaldino in Monte, via le Selve 23, ore 22.30