Mater: e luce (non) fu

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Dea Madre
Dea Madre
Dea Madre

 

«170 opere provenienti da 70 musei e collezioni. 30 studiosi coinvolti. 1300 metri quadrati di esposizione. 67 milioni di euro il valore complessivo. Opera più antica: IV millennio a.C. Opera più recente: 2014».

Il tema, che lo si consideri da un punto di vista artistico, storico, antropologico o psicanalitico, è da far tremare i polsi: «La mostra si propone di esplorare l’aspetto sacrale e archetipico della maternità e il suo ruolo fondamentale nella cultura mediterranea attraverso una selezione di capolavori archeologici e artistici».

Riconoscimenti istituzionali: Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Patrocini del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Regione Emilia Romagna e della Diocesi di Parma.

Mica pizza e fichi, insomma.

A fronte di tutto ciò, lascia decisamente interdetti l’allestimento, sia per quanto riguarda la disposizione spaziale delle opere che, soprattutto, per la scarsa, a tratti finanche sciatta, illuminazione di parte di esse: luci simil-neon e varie lampade spente o fulminate, che sviliscono chi guarda e ciò che è guardato. Un vero peccato.

Detto questo (ma non è poco, in un contesto che con tutta evidenza dovrebbe, per dirla con Italo Calvino, «attribuire all’operazione dell’osservare l’importanza che essa merita»), dalla messe dei lavori in mostra vale dar notizia, almeno, della presenza di tre opere seducenti. Più una.

Venere degli stracci
Venere degli stracci

 

In ordine strettamente cronologico, il primo manufatto che attira con forza la nostra attenzione è Dea Madre. Proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e datato IV millennio a.C., si tratta di una minuscola e tozza statuetta in «calcarenite giallina» che richiama alla mente un brano di Georges Bataille del 1953 dedicato alla rappresentazione di figure femminili nell’arte preistorica: «Esse mettono il più delle volte in risalto i tratti della maternità – i fianchi e il seno; si potrebbero definire talvolta persino idealizzate, se questa idealizzazione non andasse nel senso della deformità».

A seguire ci imbattiamo in una sconsolata e sconsolante Vergine incinta, statua in legno policromo del XV secolo. Autore: Anonimo. L’iconografia sulla gravidanza di Maria, come si sa, è stata affatto osteggiata dal Concilio di Trento. È forse il caso di rileggere il vocabolario Treccani: «Damnatio Memoriae: condanna, che si decretava in Roma antica in casi gravissimi, per effetto della quale veniva cancellato ogni ricordo dei personaggi colpiti da un tale decreto». Osi affermare che la Beata Vergine aveva un corpo? Puff.

Al piano superiore la mostra si conclude con Venere degli stracci, celeberrima installazione di Michelangelo Pistoletto del 1967 che sintetizza e rilancia molte delle questioni in quegli anni al centro del dibattito artistico: statuto ontologico dell’opera d’arte, artista come depositario di téchne, arte come espressione del sentimento, arte come imitazione della (bella) natura, relazione fra opera e mondo.

Scultura d’ombra
Scultura d’ombra

 

In fondo, in una nicchia, l’apertura della mostra Mater ci permette di fruire di una installazione permanentemente ospitata dal Palazzo del Governatore di Parma, ma visibile solo in occasione di eventi: una Delocazione di Claudio Parmiggiani, Scultura d’ombra, realizzata dall’artista nel 2010 in occasione della personale a lui dedicata in quegli spazi. In questo caso, la (intenzionale?) scarsa illuminazione è organica e corretta, per un’opera che fa dell’evocazione fantasmatica il proprio tòpos. Scultura d’ombra, in assenza dei libri che l’hanno suscitata, costituisce al contempo un mancare e un eccedere: è, per citare Maurice Merleau-Ponty, una «quasi-presenza». Ciò che è presente in assenza, infatti, manca ed eccede l’istante presente: manca in quanto è sentito come assente, eccede in quanto è presente (seppur in assenza). Buio. Luce. Buio. Perfetta.

Andate dunque a Parma, per queste e altre opere fascinose e potenti. Magari portatevi un faretto.

 

MICHELE PASCARELLA

  

Fino al 28 giugno – Parma, Palazzo del Governatore, Piazza Giuseppe Garibaldi 2 – info: 0521 218035, mostramaterparma.it