1%. E’ la frazione del Pil che l’Italia destina ogni anno alla cultura. Ecco come riescono ad arrivare alla fine del mese i musei romagnoli

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Il Mar di Ravenna

 

Il Mar di Ravenna
Il Mar di Ravenna

Il settore culturale in Italia produce il 5,8% del Pil e gli occupati, all’interno di questo comparto nevralgico, sono 1,4 milioni. Ciò nonostante la spesa pubblica destinata alla cultura è in continuo calo e rappresenta ormai solamente l’1,1% del Pil. Si tratta dell’investimento più basso dell’intera Unione Europea, persino la Grecia concede più di noi con l’1,2%. I finanziamenti pubblici, in dieci anni, sono complessivamente calati da 7,5 a 5,8 miliardi di euro. Nel nostro Paese dunque sembra mancare la progettualità, la volontà di credere che il settore culturale possa generare sviluppo economico e crescita occupazionale.

All’interno del vastissimo patrimonio culturale italiano spiccano senza dubbio i musei. L’Italia è infatti la Nazione del museo diffuso con oltre 3.600 istituzioni. In particolare, l’Emilia Romagna è sede di un ottavo di tutti i musei italiani con ben 440 unità, seconda solo alla Toscana.

Naturalmente anche i musei soffrono a causa della scarsità dei finanziamenti. Ciò è vero anche per le principali realtà emiliano romagnole su cui si è focalizzata la mia ricerca ossia: i Musei Comunali di Rimini, il Museo d’Arte della città di Ravenna, il Museo Internazionale delle Ceramiche e il Museo Carlo Zauli di Faenza e i Musei Civici di Imola. Si tratta anzitutto di soggetti in grado di proporre un’offerta culturale ricca e distintiva e che, grazie ad essa, riescono ad attirare un numero significativo di visitatori.

I Musei Comunali di Rimini, nel 2013, hanno registrato ben 153mila presenze grazie soprattutto ad una rilanciata attività espositiva e alla vocazione turistica della città. Il Mar attrae a Ravenna in un anno, in media, tra le 30mila e le 40mila persone, a seconda dell’attività espositiva proposta. Il Mic invece ha conquistato, nel 2013, 36mila visitatori, in aumento rispetto agli anni precedenti. Più vecchi e più bassi i dati che riguardano i Musei Civici di Imola che hanno registrato, nel 2012, 13.700 presenze, numeri sicuramente in aumento visto il completo riallestimento che ha interessato il Museo di San Domenico. Infine, il Museo Carlo Zauli ospita mediamente, nel corso dell’anno, circa 5mila visitatori, risultato positivo se rapportato alle esigue dimensioni dei suoi locali.

Nonostante il buon andamento delle affluenze è diventata assolutamente strategica l’attività di ricerca di finanziamenti e sponsorizzazioni tra i privati per poter sopravvivere e crescere ulteriormente. Nessuno, ma in linea con la quasi totalità dei musei italiani, possiede però una figura interna o esterna che si occupi esclusivamente di fundraising. I motivi sono essenzialmente due: l’esiguità delle risorse economiche a disposizione e il sottodimensionamento degli organici. Non per questo, però, i «nostri» musei romagnoli non ricevono finanziamenti da soggetti privati. Tra i principali finanziatori troviamo almeno una fondazione bancaria. Le fondazioni sono dunque in controtendenza rispetto alle politiche pubbliche e sembrano considerare il settore culturale un potenziale motore di sviluppo economico e sociale.

Presenti ma ancora limitati invece gli investimenti provenienti dalle imprese. Le cause principali che, in questi anni, le hanno allontanate dall’investimento culturale sono state agevolazioni fiscali scarsamente attrattive e la congiuntura economica negativa. Ma ora sembra essere sempre più necessario riuscire a far sì che la cultura sia considerata dalle imprese un fattore di crescita e attrazione del proprio territorio e che quindi possa diventare una voce d’investimento attraverso la quale esprimere la propria responsabilità sociale.

Ancora più marginale è il peso dei finanziamenti provenienti da privati cittadini. D’altronde, in Italia, le erogazioni liberali ammontano solamente a circa 16 milioni di euro contro, ad esempio, i 372 milioni di sterline donati in Gran Bretagna: un confronto davvero impietoso.

Al momento mancano quindi sia una cultura della donazione privata, sia una politica fiscale attrattiva. Il decreto cultura, entrato in vigore a fine luglio del 2014, ha come obiettivo proprio l’introduzione di strumenti fiscali adeguati. In particolare, il cosiddetto Art Bonus ha suscitato grande interesse ed attesa. Questo provvedimento permette a coloro che erogano contributi a favore dei musei di beneficiare di detrazioni fiscali al 65% fino al 2015 e al 50% per tutto il 2016. In attesa che questa normativa entri pienamente a regime si è rivelato interessante analizzare come i «nostri» musei gestiscano la propria attività di fundraising. Vi è una sostanziale differenza tra le istituzioni museali pubbliche e quelle private. I musei con ordinamento giuridico pubblico ovvero Mar, Musei Civici di Imola e Musei Comunali di Rimini svolgono questa preziosa attività tramite l’assessore alla Cultura del comune di riferimento. I due musei con ordinamento giuridico privato, ossia il Mic e il Museo Carlo Zauli, la gestiscono invece principalmente tramite la Presidenza e la direzione, con un grado di autonomia maggiore. Questa più ampia autonomia appare a sua volta correlata con una capacità più elevata di instaurare vere e proprie partnership con soggetti privati. La gestione di questi rapporti, duraturi ma anche dinamici, richiede inoltre ai due musei una strategia di fundraising davvero innovativa e in costante evoluzione. Ma in contraddizione con quanto detto, ciò non significa che la strategia di raccolta di finanziamenti dei tre musei pubblici raggiunga risultati inferiori. Anzi.

In Romagna il primo museo per finanziamenti privati ricevuti è infatti il Mar di Ravenna. Seguono i Musei Civici di Imola e i Musei Comunali di Rimini che sono riusciti ad attirare finanziamenti, soprattutto sponsorizzazioni culturali, da un ampio gruppo di soggetti privati. Ciò significa che gli assessori alla Cultura sono capaci di esercitare un peso maggiore di chiunque altro su importanti realtà private. Bisogna però capire quanto e quando le aziende siano poi veramente lungimiranti e interessate alla vita di un museo e alla crescita culturale del proprio territorio.

Nel frattempo, grazie al Decreto Franceschini, tutti i musei dovrebbero imparare a pianificare e a svolgere l’attività di fundraising in modo sempre più continuativo e professionale cercando di instaurare partnership o sponsorship attive con i finanziatori privati. Attive significa ideare eventi e progetti condivisi che coinvolgano direttamente il marketing e l’immagine dell’azienda. In parallelo lo Stato dovrebbe continuare a garantire, sulla scia del decreto cultura, il giusto contesto per i finanziatori privati tramite incentivi fiscali e semplificazione burocratica, mentre, dalla loro, gli enti locali dovrebbero intensificare l’azione di sensibilizzazione verso i privati del proprio territorio sottolineando il ruolo e l’importanza dei musei.

Questo sarebbe il migliore dei mondi possibili. Senza queste condizioni simultanee purtroppo il nuovo decreto cultura rimane isolato e l’Italia continuerebbe a non «sfruttare» il suo inestimabile patrimonio culturale, tra i più ricchi al mondo.

*L’articolo è tratto dalla ricerca della mia tesi di laurea «Il fundraising in ambito museale: attività strategica e condizione di sopravvivenza». Relatore Prof. Mario Minoja. Anno accademico 2013/2014. Corso di Laurea strategie e condizione di impresa, Università di Modena e Reggio Emilia.