Tre stelle per “Diamante Nero” di Céline Sciamma

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diamante_nero_sciamma-e1433613283637Un film in lingua originale, con sottotitoli, è una rarità per le nostre sale. Eppure è così che la Teodora film ha deciso di distribuire Diamante Nero, rivelando coraggio e lungimiranza nonostante un titolo italiano (in luogo dell’originale Bande De Filles, «banda di ragazze») sì ispirato a una delle sequenze-chiave della pellicola – un momento quasi musical sulle note della Rhianna di Diamonds – ma ugualmente (anche se involontariamente) segnato da uno sgradevole retrogusto “colonialista”. Il «diamante nero» al centro della sceneggiatura è Marieme (Karidja Touré), adolescente francese alle prese con due sorelle minori, una madre poco presente (del tutto assente, invece, il padre) e un fratello maggiore dai modi maneschi e autoritari: al culmine dei suoi problemi scolastici (dovrebbe ripetere per la terza volta la stessa classe), la ragazza sceglie di uscire dal proprio guscio per unirsi a un trio di coetanee abituate a farsi rispettare, e a divertirsi, anche ricorrendo alla prepotenza. Con loro si metterà alla prova, sperimenterà l’ebbrézza di un legame forte con altre ragazze e riuscirà, almeno in parte, a sfogare la propria rabbia silenziosa, ma non a risparmiarsi una conclusione amara, quasi un sigillo sull’inevitabile senso di vuoto e sradicamento provato dagli immigrati di terza o quarta generazione. Malgrado le premesse, Diamante Nero non è un saggio basato sull’osservazione sociologica, né un manifesto politico, quanto un fragile poemetto visivo sul disorientamento dell’adolescenza. Girato tra le scuole, i centri commerciali e i formicai condominiali di La Noue – Clos-Français (quartiere suburbano della banlieue parigina, ancorché appartenente al comune di Montreuil, popolato soprattutto da arabi e nordafricani), il film guarda con affetto a certi racconti di formazione degli anni ’80 (al suo ingresso nella banda, Marieme viene ribattezzata Vic, come victoire, «vittoria», ma anche come Sophie Marceau nel Tempo Delle Mele) rielaborandone l’ingenua esuberanza in una mini-sinfonia di colori appunto intensi e splendenti, una parata di rossi, rosa, indaco, acquamarina, verdi e azzurri a suggerire una percezione ovattata e oscillante. Col progredire della storia, questi stessi colori, sempre contrapposti ai volti, alle braccia, alle gambe e alle mani d’ebano delle protagoniste, ai loro capelli corvini e al chiarore eburneo dei fabbricati delle periferie, si fanno man mano più cupi e notturni, pieni delle ombreggiature di una giornata e di un’esistenza tendenti al nuvoloso. Lo stile rimanda talvolta a quello di certi videoclip (per esempio nei ralenti dell’incontro di rugby femminile su cui si apre il film) e cerca di costruire un racconto in forma di ballata electro-pop dal finale triste, dove le sottolineature antropologiche (Marieme e le sue amiche cercano l’emancipazione sfiorando simboli del lusso a loro preclusi, indossando di nascosto vestiti eleganti o passando qualche notte in camere d’albergo dal gusto kitsch, ma restano prigioniere di codici familiari arcaici e tribali, incasellate dentro vite a senso unico in cui una donna può solo diventare madre o asservirsi al maschio di turno) assumono la cadenza, la circolarità e il ritmo musicale di veri e propri ritornelli. Se i cromatismi accessi e il gusto tanto iperrealista da trasformarsi in visionario delle parentesi canore ricorda in qualche misura Jacques Demy, la pudicizia dello sguardo sui riti di passaggio della pubertà deve qualcosa alle «iniziazioni sentimentali» a suo tempo ritratte da Alberto Lattuada e Claude Autant-Lara. Dirige la Céline Sciamma di Naissance Des Pieuvres (2007) e del delicato Tomboy (2011), anche in questa occasione fedele alle coordinate asciutte, tra naturalismo e fiaba, di un linguaggio discreto, costumato, sottinteso; forse persino troppo, perché tutto questo distanziarsi, così da osservare vicende e personaggi con assoluta neutralità, senza giudicare o prendere posizione e al tempo stesso senza mai appassionare davvero, finisce per nuocere, pur non affossandolo, alla temperatura emotiva del film.

Gianfranco Callieri

DIAMANTE NERO***

Céline Sciamma

Francia – 2014 – 113’