La faccenda è facile capirla – se pensate che o i Gun Club o gli X o i Giant Sand o i Minutemen/fIREHOSE o i Green On Red o appunto i Replacements – insomma, che qualunque di queste band, con tutte le altre cui si possa pensare appena dietro, sia il top degli anni Ottanta Yankee – bene, allora qui siete dei fratelli. E vedere i Replacements in reunion (mezza reunion?) è il classico cerchio che si completa, come una promessa di vita che da ragazzino ti fai nel cuore – in qualche modo mantenuta fra mille traversie.
I Mats le traversie sanno molto bene che cosa siano – la droga, l’eccesso in genere, le bestemmie (magnifiche, lanciate in diretta TV al Saturday Night Live con sprezzo per tutto e per tutti – banditi per sempre dalle TV americane), la folle corsa verso-chissà-dove ne hanno sublimato il mito ma pure stroncato l’ascesa – perché l’incredibile talento che scorreva nelle loro vene, le vene gliele ha fatte scoppiare. Tipica storia di vero rock’n’roll, da Jerry Lee Lewis in giù – solo che l’Hellfire di JLL ha dimostrato vita eterna, quello dei Mats aveva il timer – di quelli dove però non vi era niente di calcolato, tanto che qualcuno davvero pensa a loro come se fossero i Nirvana naturalmente prima dei Nirvana.
Dopo il passabilissimo set di Jesse Malin (davvero insostenibile per un’infinita mezz’ora di imbarazzante Springsteen-ismo!) e, al contrario, quello travolgente degli australiani You Am I in perfetto stile Who anni Sessanta, per una notte il Breakfast Club ha riaperto ancora i battenti, come accade da circa un anno – Paul Westerberg e Tommy Stinson hanno acceso di nuovo il loro bolide – un bolide che all’epoca era lanciassimo fra punk, Memphis e Alex Chilton/Big Star, come se la missione fosse quella di portare a forza Keith Richards fra i banchi dei college – per farli letteralmente a pezzi. Tiro e repertorio sono quelli delle grandi, grandissime occasioni, di quelle che le afferri o non tornano più, ultima chiamata treno – carico di capolavori in serie: Takin’ A Ride, I Will Dare, Kiss Me On The Bus, Little Mascara, Tommy Gets Is Tonsils Out, Bastards Of Young, I.O.U., Adrogynous, Waitress In The Sky, Can’t Hardly Wait, Talent Show, Achin’ To Be, Merry Go Round, per arrivare all’inno definitivo Alex Chilton – senza scordare infiammate cover di Lost Highway (Hank Williams/Leon Payne), di Dust My Broom (Elmore James/Robert Johnson), di Another Girl Another Planet (Only Ones) e di Maybeline (Chuck Berry), ossia country, blues, power pop e rock’n’roll che suonati più punk di così forse non è mai accaduto in nessun lato né epoca della Terra. Tutto per quasi due ore che sono una vita, l’amarcord di una parte di generazione, la cosiddetta Generazione X, in preda a bile accecante ma a cui fregava molto di tanto – bastava solo starla a sentire, quella generazione.
CICO CASARTELLI