La Cina in noir: Fuochi d’artificio in pieno giorno

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Fuochi d'artificio in pieno giorno, locandina originale
Fuochi d'artificio in pieno giorno, locandina originale
Fuochi d’artificio in pieno giorno, locandina originale

Piccoli miracoli della canicola: grazie alla desertificazione delle sale, esce domani anche da noi (sebbene in pochissime copie), il thriller mandarino Fuochi D’Artificio In Pieno Giorno, vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale dello scorso anno. Benché il titolo italiano possa apparire fantasioso rispetto al Black Coal, Thin Ice («carbone nero, ghiaccio sottile») con cui il film è stato distribuito in mezzo mondo, si tratta della traduzione quasi letterale dell’originario Bai Ri Yan Huo, peraltro comprensibile soltanto per chi avrà la bontà di arrivare fino all’ultima sequenza. Un’altra scelta coraggiosa dell’intraprendente distributrice torinese Movies Inspired (in bocca al lupo), che affronta le tempeste di calore di Caronte con una pellicola certo aliena rispetto alle abitudini da multiplex. Il che, com’è ovvio, non garantisce di trovarsi davanti a un’opera imperdibile, ma alimenta senz’altro un pizzico di curiosità verso tanto cinema, soprattutto asiatico, spesso citato a vanvera e di fatto, almeno su grande schermo, sconosciuto ai più. Terzo capitolo nella storia abbastanza recente (il suo primo lavoro risale al 2003) del cineasta taiwanese Diao Yi’nan, diventato popolare come sceneggiatore umoristico ma da regista abituato a confezionare lividi drammi urbani ambientati in una Cina ogni volta demistificata e stracciona, Fuochi D’Artificio In Pieno Giorno racconta la storia di un poliziotto nell’estate del 1999 coinvolto in un caso ambiguo (parti diverse del corpo di una stessa vittima vengono ritrovate in altrettanti stabilimenti carboniferi della provincia a nord-est di Pechino) e allora sconvolto dall’uccisione violenta di due colleghi. Lo incontriamo di nuovo cinque anni dopo, nel frattempo passato alla professione di guardia giurata, e con la vita in pezzi: il ricorrere di due omicidi dalle modalità simili a quelle riscontrate nella vecchia indagine lo convince a investigare in proprio. Si imbatte così in una ragazza, timida impiegata presso una lavanderia, la cui vita privata sembra avere un legame con tutti e tre i delitti; non tarderà a innamorarsene, ma le conseguenze saranno fatali. Già un breve riassunto della trama rende chiaro come il regista abbia preso in mano più o meno tutti gli stereotipi del noir hollywoodiano (senza andare troppo indietro negli anni, qualcuno ricorda l’Harold Becker di Seduzione Pericolosa [Sea Of Love, 1989], con il detective Al Pacino irretito dalla potenziale assassina Ellen Barkin?), dalle atmosfere lugubri al travaglio amoroso, dall’ex-piedipiatti fallito e ubriacone (un discreto Fan Liao) alla femme fatale (Lun Mei Gwei, bravissima) con qualcosa da nascondere. A rendere interessante la sua rivisitazione di questi luoghi comuni è però l’umorismo stralunato di cui spesso si avvale per descrivere un paese stretto tra ordinaria miseria e apparizioni surreali: a un certo punto, di una tristezza rara nel suo essere fuori posto, spunta persino un cavallo brancolante tra i corridoi di un condominio (c’era un cavallo anche in uno dei momenti più tragici del Tocco Del Peccato [Tian Zhu Ding, 2013] del conterraneo Zhang-ke Jia, non a caso ringraziato nei titoli di coda) e d’altronde la versione senza tagli, rifiutata dai funzionari cinesi, pare contenesse numerosi episodi all’insegna di un’ironia caustica. La soluzione dell’enigma, prevedibile e repentina, potrebbe scontentare gli spettatori al genere, ma a Diao Yi’nan la cosa non preoccupa, perché i «fuochi d’artificio» dei titoli italiano e originale sono, appunto, la spiegazione dei crimini, in piena luce per tutto il film e pertanto poco interessante. Quanto resta impresso, semmai, è la descrizione di una Cina settentrionale sudicia e soffocante, avvolta nel ghiaccio, nella neve, nella sporcizia di quartieri periferici dove a dettare legge sono delinquenti di mezza tacca e i residenti, come del resto le autorità inquirenti, brancolano senza risposte (o dinanzi a risposte dall’evidenza rifiutata e fuggita) in un panorama fatto di freddi capannoni industriali, insegne malandate, stabili fatiscenti, ristoranti minuscoli e decrepiti, cieli grigi e opprimenti. Se, insomma, il meccanismo poliziesco del film non funziona, lo si deve alla relativa indifferenza del regista e sceneggiatore nei confronti dei suoi ingranaggi. Eppure, trovarsi alle prese con un thriller riuscito a metà era forse il prezzo da pagare per poter osservare, libera da ingerenze censorie altrimenti inevitabili, una radiografia visiva (questa sì, inedita e magnetica) della decadenza sociale delle province cinesi contemporanee, qui immortalate in un’amara successione di strade vuote, divertimenti solitari e sfondi sonori ottenuti intrecciando archi programmati e tremende canzoncine mandopop. I personaggi di Fuochi D’Artificio In Pieno Giorno si annullano in un’inesorabile deriva del quotidiano: la liberazione del gesto finale, con l’esplosione in sede diurna di qualche razzo pirotecnico (dall’effetto curiosamente simile a quello dei vasi Han fatti cadere e andare in pezzi da Ai Weiwei), è inutile, com’è inutile, al giorno d’oggi, parlare di libertà e sentimenti in Cina.

Gianfranco Callieri

FUOCHI D’ARTIFICIO IN PIENO GIORNO

Diao Yi’nan

Cina – 2014 – 110’

voto: ***