La lunga notte di Belfast

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la locandina originale

Irlanda del Nord, fine anni ’60: il paese, dilaniato dal conflitto tra la comunità cattolica, nazionalista e indipendentista e i «lealisti», per lo più protestanti e in ogni caso fedeli alla Corona Inglese, vede innescarsi un periodo durato trent’anni e chiamato, come la guerra d’indipendenza del 1919-1921, «The Troubles», all’insegna di continui scontri in cui le forze paramilitari, o i semplici cittadini, di entrambe le fazioni si oppongono senza tregua. Due stagioni dopo, a Belfast, nell’epicentro delle ostilità, una giovane recluta inglese di nome Gary Hook (interpretata dal Jack O’Donnell già Louis Zamperini in Unbroken [2014], modesto biopic diretto, su sceneggiatura dei fratelli Coen, da Angelina Jolie) è costretta a separarsi dalla propria unità durante un’operazione di controllo presto degenerata in combattimento a fuoco. Mentre il reparto di Hook ritira verso la caserma e al compagno del soldato, anch’egli rimasto a terra nel corso dell’arretramento delle camionette dell’esercito britannico, viene sparato a bruciapelo un proiettile nello zigomo, il nostro riesce a sfuggire l’esecuzione correndo a perdifiato tra i vicoli del quartiere e riparando in una latrina. Durante un’interminabile notte, incontrerà un giovanissimo unionista, scamperà per miracolo a un attentato esplosivo e dovrà perfino difendersi dalla “ragion di stato” incarnata da un gruppo di agenti inglesi in borghese, più interessati a salvare le proprie coperture che la vita del ragazzo. Uscito in patria lo scorso anno, con scarso successo al box-office, e giunto da noi ora (in sala da domani) sull’onda della solita estate cinematografica povera di attrattive e ricca degli immancabili tappabuchi, ’71, opera prima del regista francese Yann Demange (cresciuto professionalmente nella tv del Regno Unito), è il “fondo di magazzino” più stimolante nel quale possiate imbattervi nell’attesa delle grandi anteprime agostane. Sebbene, infatti, continui a non convincere del tutto una certa estetica della sporcizia, dell’immagine sgranata (sempre al punto giusto), tale da produrre una paradossale eleganza dello squallore dai toni quasi pubblicitari (marchio di fabbrica di Demange e di un po’ tutte le serie televisive targate BBC) ormai diffusissima negli esordi dei cineasti di qualsiasi latitudine e anche qui profusa a piene mani, risulta tuttavia curioso il modo in cui gli autori del film, probabilmente consapevoli di non poter inseguire (anche per ragioni economiche) l’efficienza spettacolare dei primi venti minuti di Nel Nome Del Padre (In The Name Of The Father; Jim Sheridan, 1993) o il frastornante dinamismo visivo di Bloody Sunday (Paul Greengrass, 2002), prediligono ambientazioni chiuse e soffocanti, una tesa discrezione narrativa e una rete di fitta complicità con lo spettatore, incalzato da numerose sorprese ma mai preso alla sprovvista da gratuiti pezzi di bravura. Il tempo della pellicola si dispiega così tra locali, scantinati, appartamenti e stanze dal soffitto basso, dalle luci soffuse, dove i contorni si confondono e individuare le reali intenzioni dei personaggi è un’impresa impossibile. E se la morale delle due speculari brutalità, da una parte quelle degli affiliati all’IRA, dall’altra quelle dei filoinglesi, è tutto sommato banale e poco convincente, è pur vero che ’71, nonostante le deflagrazioni, le pistole e le rudimentali bombe fatte in casa, non è un film di guerra quanto un catalogo intimista, e in questo riuscito, di solitudini intente a sfiorarsi per pochi attimi: nel distacco affettuoso e commosso tra Hook e il suo fratello minore, forse entrambi senza genitori; nella rabbia di un bambino biondo (destinato a saltare per aria) che odia i cattolici perché gli hanno ucciso il padre; nelle domande su David Bowie (campeggiante sulla prima pagina di un Melody Maker d’annata) rivolte al soldato, per spezzare l’amarezza e l’imbarazzo, da un’infermiera improvvisata e pure lei orfana di madre («Ti piace Bowie?», «È ok… uh, è una cosa da ragazze, no?»); nel terrore repentino di una recluta inesperta e di colpo scaraventata nel teatro d’odio di una nazione intera. Sullo sfondo, una Belfast (ricostruita a Liverpool e Sheffield) sudicia, sospettosa e opprimente, filmata attraverso scelte di regìa che hanno il pregio di non banalizzare un’analisi del disagio individuale dalle risonanze tragicamente attuali.

Gianfranco Callieri

 

’71

Yann Demange

UK – 2014 – 99’

 

voto: ***