John Hiatt, questione di fede

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La famiglia a un concerto di John Hiatt bisogna sempre portarcela, già – perché l’oramai attempato autore di Have A Little Faith non delude mai. Come si dice, è questione di background – John Hiatt ha intrapreso la strada faticosa, quella di cavalcare la musica come ricerca di vita e non solo di successo – è chiaro, insomma, che le sue canzoni e i suoi dischi siano pezzi del suo travagliato percorso personale. Può essere vero che il suo momento migliore sia adesso passato, il quale equivale all’incirca a quella quindicina di anni spalmati fra gli Ottanta e i Novanta – però è pure vero che in genere la sua produzione è di quelle che non tradiscono la promessa di fondo, ossia credo artistico e onestà intellettuale.

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Per quasi un paio d’ore al Carroponte di sesto San Giovanni passano in rassegna numeri che parlano di America rurale, di America dei sentimenti, di America in profonda crisi, di America che ha perso i propri valori, di America che è passata dalla sicurezza all’insicurezza, di America che dalla pancia piena è passata alla fame – John Hiatt tutto questo lo sa raccontare molto bene, come se egli fosse un Elvis Costello versione yankee più quadrato e meno giocoliere. Stavolta non possiamo contare sul magnifico aiuto di amici che in lui hanno creduto profondamente, da Ry Cooder a Nick Lowe da Sonny Landreth a Jim Keltner – ma del Combo, come si chiama la sua attuale band, vi è abbastanza di che fare assegnamento, poiché trattasi di un trattore di roots rock affidabile, di quelli che portano lontano – anche se Doug Lancio, il chitarrista, una certa nostalgia di Ry e Sonny l’ha fatta sorgere. Poi, naturalmente John Hiatt ha dalla sua una voce che non lo tradisce mai, fra le migliori eredi di quelle che da Levon Helm in giù al solo fiatare nel microfono sanno creare un mondo, immergerti in un’atmosfera, spiegarti chi sei e dove stai andando – e ancor di più non lo tradisco i suoi brani, classici puri e solidi (maledizione, niente Feels Like Rain!) che non si consumano in una stagione o due – e come potrebbe essere se si sta parlando di Have A Little Faith – splendido l’arrangiamento full band ma acustico – Crossing Muddy Waters, Drive South, Real Fine Love, Perfectly Good Guitar, Cry Love,  Memphis In The Meantime, Riding With The King – dedicata a B.B. King – Thing Called Love, Detroit Made, Long Time Coming, Your Dad Did? Impossibile fallire!

 

CICO CASARTELLI

 

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