Procol Harum, pallide ombre bianche

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È tutto un vero peccato – tipo che la memoria collettiva per lo più rammenti i Procol Harum come “quelli” di quel brano con l’organo a tutto volume che negli anni Sessanta fece limonare orde di coppiette dal testosterone incontrollato, tanto quanto che Gary Brooker e compagni debbano suonare a un festival dal chiaro intento nostalgico fin del nome come il Beatles Days Festival – attenzione, non che il festival sia organizzato meno che ottimamente, com’è d’obbligo scrivere a chiare lettere tanto che negli anni sullo stesso palco sono passati veri e propri assi come i Caravan e i Pretty Things protagonisti di concerti davvero di prim’ordine quanto memorabili – semmai il peccato appunto è il bacino d’utenza, chiamiamolo così, che lontano un miglio sa di cliché che non lo smuoveresti nemmeno con le ruspe.

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I Procol Harum sono stati davvero dei precursori che hanno pavimentato la strada per decine di artisti a venire – sono stati tante cose, di fatto: il nodo fondamentale fra la Swingin’ London beat e la nascita del progressive (qualcuno, per le filiazioni, li maledice anche, peraltro…), la prima band a incorporare uno con l’altro, sfacciatamente e con splendidi risultati, musica classica e pop come se fra Bach e Percy Sedge o Otis Redding non vi fosse nessuna differenza (che I Doors abbiano fatto lo stesso con il loro rock blues Albinoni-incontra-John Lee Hooker? Risposta affermativa…) – insomma, sono stati i progenitori di una formula che al tempo scrisse il futuro di quelli che furono buoni dieci anni a venire – per averne un’idea, chiedere ai Genesis, ai King Crimson, ai Gentle Giant, ai Van Der Graaf Generator o addirittura ai Soft Machine.

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Gary Brooker, autorevole lord inglese che dietro le sue tastiere e con voce assolutamente intatta, nonostante la pioggia che ha un po’ rovinato la festa, dirige la sua “azienda” senza problemi e con sano divertimento, tutto questo lo sa – che lui, sebbene davanti a un pubblico che vuole il revival, tanto revival lui non lo è. A Whiter Shade Of Pale, Homburg, A Salty Dog e gli estratti di quel dimenticato album capolavoro che fu Broken Barricades (1971) – che bello se facessero un mini tour dove presentarlo dall’inizio alla fine – dicevamo, quei brani sono pura potenza evocativa, chiaramente delle vere scintille di atmosfera come a tali livelli ve ne sono e ve ne sono state poche…

CICO CASARTELLI

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