I cancelli d’oro dei Los Lobos

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Inizio questo scritto sul nuovo album dei Los Lobos con quello che non avete mai letto da nessuna parte, ingiustamente – fra le tante cose che mostrano l’eccellenza del gruppo chicano, mi è sempre stato chiarissimo che Louie Pérez, batterista part-time e chitarrista del quintetto, è uno che scrive testi a dir poco eccezionali. Non so se siano poesia – chi può dirlo, chi può stabilirlo? – ma se penso di cosa e a come parlano classici dei Lobos quali Hearts Of Stone, Little John Of God, When The Circus Comes, The Lady And The Rose oppure One Time One Night, giusto per citare i primi che sovvengono per assoluta bellezza dei testi, bene, Pérez ti da proprio l’idea di che cosa sia “il grande romanzo americano”, come lo definì Philip Roth e nel quale, pensando a Louie, possiamo centrifugare tutt’insieme William Faulkner e Warren Zevon, John Steinbeck e Robert Hunter (Grateful Dead), Michael Chabon e Tom Waits, Raymond Carver e Lowell George (Little Feat), Carl Hiaasen e John Fogerty (CCR). Non fa eccezione Gates Of Gold, che nei brani firmati da lui nei testi con David Hidalgo alle musiche, sono una vera saga di gloria e miseria, di oppressione ma anche di surreale visione che si sposa magnificamente con la Musica Cosmica Americana che il quintetto ha sempre perseguito, afferrandola spesso con grandi risultati.

Louie Pérez
Louie Pérez

Rispetto alle prove più recenti, in Gates Of Gold sembra proprio che i Los Lobos abbiamo inserito il turbo – in generale il disco sembra davvero il più convincente dai tempi di Good Morning Aztlán (2002), in assoluto album fra i più belli della band. Undici brani che sono un bel riunirsi insieme di quanto è capace la famiglia di East L.A., che si ascoltano a ripetizione senza fatica e con molta soddisfazione, in verità. Già il primo brano, Made To Break Your Heart, ha quel sano gusto di Grateful Dead che i Los Lobos son sempre stati dei maestri nel rielaborare secondo i loro parametri – e, davvero, lo scambio di amorosi sensi musicali fra il Morto e i Lupi non è mai stato celato. Ed è solo l’antipasto. Al secondo numero tocca a un gran bel soul ubiquo che frequenta sia Bobby Womack sia Marvin Gaye, roba che i Lupi sanno fare magnificamente da decenni, in caso fosse sfuggito a qualcuno. Al terzo picchiano duro con Mis-Trater Boogie Blues, ove Cesar Rosas è lì a far da primattore destreggiandosi fra John Lee Hooker e ZZ Top. There I Go torna al soul, più obliquo, di quelli molto Sly & The Family Stone. Il passaggio cinque Too Smal Heart va accomunato all’undici Magdalena, l’ultimo, e spieghiamo immediatamente perché: a tempo perso, tipo quando si va in palestra a tirare di boxe, sono diversi anni che David Hidalgo e Louie Pérez, cui si uniscono diversi amici, si esibiscono in un locale losangelino nel nome di Jimi Hendrix, e quindi i due brani indicati ne sono il chiaro frutto, con il primo che del Mancino di Seattle prende il ritmo frenetico sullo stile Purple Haze mentre il secondo viaggia sulle cadenze di ballate come Little WingMay This Be Love o Drifting, per intendersi.

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Il brano guida è la quintessenza di tutto ciò che fa Los Lobos – passo roots ma con quei suoni ricercati che solo loro sanno macinare, e un testo (Louie Pérez!) che profuma di antica Luce d’Agosto di Faulkner-iana memoria quanto dell’epica di Robert Hunter servita per i Dead – ed è lo stesso lyricist dei Lupi a spiegarsi con precisione nelle note d’accompagnamento al disco: «A balenare per il testo è stata l’idea di un viaggio fatto di tutte le possibilità e forme. Il percorso di un immigrato che guarda verso una nuova terra all’orizzonte, di quelle con tante promesse. La sempre presente domanda sul perché della vita in senso spirituale, tentando di spiegare che cosa incontreremo dopo la nostra esistenza mortale». Altro momento di vera classe è Song Of The Sun, che rigira il folk come gli pare – i Los Lobos la lezione la sanno a menadito e altrettanto sanno quali sono i pozzi che garantiscono segreto di lunga vita. E se I Believed You So vi pare un trito Muddy Waters, sbagliate – Cesar Rosas, qui di nuovo protagonista, e compagni ci mettono sempre quel tocco d’originalità che chissà dove riescono a pescare – ah già, questione di background, di quelli lunghi così.

David Hidalgo
David Hidalgo

No sarebbe un vero disco dei Los Lobos se non vi fossero un paio di colpi assestati nel nome dei ritmi latin, cantati naturalmente in spagnolo – Cesar Rosas con Poquito para aqui regala la sua solita cumbia da passo sincopato laddove, sempre con Cesar a tirare le fila, La tumba gioca al tradizionale messicano, con peraltro un verso di quelli che racchiudono uno stile di vita: «Mienten si te aseguran que no te quiero/Solamente a mi madre la quieria mas que a tÍ» – se questa non è poesia…

CICO CASARTELLI

LOS LOBOS – Gates Of Gold (Proper Records)

Cesar Roas
Cesar Roas