Tom Jones, di valige perdute e altre meraviglie

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Con tanti pesi massimi, fra gli interpreti puri americani è difficile, anzi, è impossibile scegliere il migliore – Frank Sinatra, Jerry Lee Lewis, Ella Fitzgerald, Bing Crosby, Joan Baez, Billie Holiday, Nat King Cole, Aretha Franklin, Elvis Presley, Patsy Cline, insomma, come diavolo si fa a scegliere? Non si può, punto. Se ci si fa la medesima domanda spostandosi in Gran Bretagna, nel nostro piccolo angolo di ascoltatori speriamo attenti la risposta è una sola: Sir Thomas Jones Woodward aka Tom Jones aka TJ, uomo che quest’anno ha fatto 76 anni portati da Dio e vanta una carriera lunga così che nemmeno John Holmes! E adesso tocca alla cosiddetta chiusura del cerchio – infatti, arriva Long Lost Suitcase, ultimo capitolo di una trilogia iniziata nel 2010 con l’aiuto del giovane produttore Ethan Johns (Ryan Adams, Tift Merritt, Laura Marling, Kings Of Leon, Paul McCartney) nonché figlio di uno dei grandissimi produttori di sempre, Glynn Johns (Rolling Stones, Beatles, Led Zeppelin, Eagles, Who, Eric Clapton, Clash, Bob Dylan – meglio fermarsi) – una trilogia che nelle intenzioni della coppia è un ritorno to the bone alla musica che davvero ha ispirato e reso grande TJ. Missione perfettamente riuscita, garantiamo.

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Praise & Blame/Spirit In The Room/Long Lost Suitcase sono un po’ il corrispettivo di TJ delle American Recordings di Johnny Cash sotto l’egida di Rick Rubin – stessi intenti e risultati, naturalmente grazie al turbo innestato sia da uno sia dall’altro interprete – roba di veri fuoriclasse, per intendersi. Scegliere fra i tre lavori di TJ è arduo e non è consigliato farlo – vanno presi come un tutt’uno, una specie di magnifica firma finale su una carriera semplicemente roboante, che dalle cave di carbone del Galles è passata attraverso il beat originario, Las Vegas, il kitsch di vario genere, fino in anni recenti a stendere chiunque come dominatore assoluto del programma TV The Voice versione inglese – in Italia, ci suggerisce Wikipedia, ci sono toccati nientepopodimeno ché Raffaella Carrà, Piero Pelù (Litfiba), Noemi, Riccardo Cocciante, J-Ax (Articolo 31), Roby Facchinetti (Pooh) e il figlio quest’ultimo DJ Francesco. Fate i conti – e tiratene le per noi magre somme.

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Bando alle ciance, però – qui si deve parlare di uno dei dischi più belli del 2015: Long Lost Suitcase. TJ attacca questa bordata di lavoro con tono mesto, quello di Opportunity To Cry – strumentazione parca e acustica, che è perfettamente cucita intorno a quel dono divino che è la voce del Sir. È una finta, però, perché Long Lost Suitcase poi regala fiammate che sono quelle di un drago. Tipo nel momento topico dell’intera raccolta – ossia I Wish I Would di Billy Boy Arnold che TJ spara come una cannonata zeppelliana di quelle proprio roboanti – non si può altro che mettersi sull’attenti e rimanere attoniti – questo tizio ha 76 anni e la potenza di un diciottenne, di quelli però della sua generazione, mica delle mammolette di oggi. Volete commuovervi? Bene, allora prestate attenzione a come rigira Factory Girl dei Rolling Stones manco fosse un canto folk di miniera, di quelli cui lui e la sua famiglia erano abituati decenni fa. Effetto che si ripete con la ripresa di He Was A Friend Of Mine, sì quella che Pete Seeger, i Byrds, Bob Dylan, Willie Nelson, Dave Van Ronk – ah, le canzoni, che bell’arnese che sono! Dovesse farvi male il cuore – provate con Tomorrow Night, quella che fra Elvis e Dylan l’hanno fatta in molti altri – TJ entra in quella dimensione dove spazio e tempo perdono significato nel nome dei sensi che si sdilinquiscono al suono di un’orchestrina che è più che altro un’eco lontano – il resto è pura, scintillante sensazione.

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Volete prendere fiato? No, con Long Lost Suitcase non si può. Dicevamo degli Zep – ve li ricordate quando ripresero Bring It On Home di Sonny Boy Williamson, no? TJ qui fa lo stesso – e ugualmente è sexy e minaccioso come lo erano i suoi amici del Dirigibile (lo sapete che la chitarra non accreditata della leggendaria She’s A Lady è quella di Jimmy Page, vero?). Un pezzo dei Los Lobos come lo strepitoso Everybody Loves A Train, gioiello di Colossal Head (1996), non ci credete che possa sembrare un ululato di Jim Morrison coi Doors? Prego, accomodarsi e reggersi per bene, perché questa è roba che lascia letteralmente abboccaperta, senza parole di che fiatare, perché se lo fate TJ vi stende come un gancio di quelli che fanno male, ma male veramente – e non stiamo scherzando, la boxe è sempre stato il suo secondo amore.

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Dovunque ti giri, Long Lost Suitcase regala solo pepite – come l’idea geniale di rifare Elvis Presley Blues di Gillian Welch tutta riverberi e distorsioni – a ricreare un effetto seppia della memoria, elegia per il vecchio amico che da tanto se ne è andato – rammentiamo a chi se lo è scordato che TJ fu grande e sincero amico nonché confidente del King. E se il dolce si lascia sempre alla fine, ecco che Honey, Honey in duetto con Imelda May fa proprio al caso nostro – con quel bel retrogusto ol’ time country che messo in bocca a TJ è semplicemente oro per le orecchie di chi ode, e gode. Per il resto – questo è semplicemente un disco da avere, amare e far girare quanto più che si possa – perché di artisti fatti come l’autore del tutto, Sir Thomas Jones Woodward aka Tom Jones aka TJ, difficilmente ne nasceranno ancora: la matrice l’hanno sotterrata come hanno fatto chissà dove con il Sacro Graal.

CICO CASARTELLI

TOM JONES – Long Lost Suitcase (Virgin/EMI)

TJ con, fra gli altri, Imelda May
TJ con, fra gli altri, Imelda May

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