Bob Dylan, il sottile selvaggio suono mercuriale 1965–1966

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Diciotto CD sono tanti da affrontare, specie se si è reduci da un mese e passa dedicati agli ottanta di 30 Trips Around The Sun dei Grateful Dead, peraltro senz’ombra di pentimento. Ma li abbiamo affrontati – perché The Bootleg Series Vol. 12/The Cutting Edge 1965–1966 è il Bob Dylan più famoso, quello dove molti ci hanno lasciato il cuore, una vita di ascolti e da cui è stato mutuato un intero stile d’apparenza e d’essere. Il Bob Dylan hipster è l’iconografia del rock and roll, lassù con l’Elvis che nel 1956 fa ballare il mondo o il Johnny Rotten che nel 1977 sul mondo vi vomita sopra.

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Un po’ tutti i media hanno copia-incollato (cmd+c cmd+v, facilissimo!) che si tratta di tutto quello che Bob Dylan avrebbe inciso in studio in quel biennio, il ché peraltro non è vero – basta consultare bootleg ed altri volumi The Bootleg Series per rendersene facilmente conto. Noi, media che dei media in genere non ci fidiamo, abbiamo voluto toccare con mano – fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Insomma, non vorremmo che quanto inciso nei pochi mesi che intercorsero fra Bringing It All Back Home (1965), Highway 61 Revisited (1965) e Blonde On Blonde (1966) finisse solo in mano a qualche finto esperto che fino a ieri pensava che il rock fossero i Pearl Jam – e che soprattutto lo pensa ancora, ahinoi.

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Visto che The Cutting Edge, nell’edizione elefantiaca delle tre (le altre sono di due CD e di sei CD), è fatto sia di canzoni, di tentativi, di sketch e di intervalli parlati, dei quali molti davvero divertenti giacché Bob Dylan tra tutto è anche assolutamente ilare sempre e comunque, sia durante l’esperienza sia a esperienza conclusa ha più di tutto rammentato una cosa: lo straordinario box set della Bear Family che racchiude tutte le incisioni Sun Records di Jerry Lee Lewis, dove pure lì, oltre i brani in sé, si gode molto nell’udire gli umori e gli sfoghi del Killer caught in the act, beccato in azione. E qui Bob Dylan è caught in the act in maniera magistrale. Così, senza pensarci troppo, è bello notare come nelle session di Bringing It All Back Home l’idea trasmessa sia di una vogliosa irruenza assolutamente unica, in quelle di Highway 61 Revisited una padronanza del mezzo senza rivali e in quelle di Blonde On Blonde una certa mercuriale fragilità proto glam.

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Chiaramente non possiamo e non vogliamo sostituirci a Wikipedia e ai suoi fratelli – ma ci togliamo il gusto di segnalare quelli che sembrano i momenti più belli dell’ascolto, fatto di 379 brani per 19 ore e due minuti di musica. Roba grossa, insomma. E se quel Bob Dylan fu un grande cubista delle sette note, anche noi non seguiamo un filo cronologico ma subito ci preme segnalare i rimasugli dell’ultimo CD, il diciottesimo, che raccoglie schizzi e incontri vari di quegli anni, in maggioranza registrazioni di campo (Alan Lomax docet) fatte per lo più in alberghi e on the road dove capitasse – delle quali diverse tratte dal film Don’t Look Back (girato nel 1965 ma pronto per il pubblico solo nel 1967) e con Joan Baez a puntellare vocalmente l’allora amante, delle quali non si può soprassedere di nominare la doppietta Hank Williams Lost Highway (Leon Payne) e I’m So Lonesome I Could Cry. Di quelle rimanenze fanno parte anche Positively Van Gogh e I Can’t Leave Her Behind, che seppur numeri spoglissimi e registrati con mezzi di fortuna, regalano perfetto spaccato degli umori e del genio di quel Dylan molto hipster.

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Bello sentire la mutazione le cose, tipo nelle session di Bringing It All Back Home come You Don’t Have To Do That che tempo dopo (forse) diventerà If You Gotta Go, Go Now oppure, ancora più chiaramente California che è il primo vestito solo piano e armonica della poi definitiva Outlaw Blues. Sempre da quelle parti, quelle di Bringing…, stupisce On The Road Again (Take 2 Complete), sincopato e paludoso tentativo con organo in grande ricamo di un brano che poi, in breve, diverrà molto più quadrato, diretto, beat.

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Il passaggio di The Cutting Edge che forse da più soddisfazioni è quello dedicato a Highway 61 Revisited, a cominciare da tutto un CD dedicato a Like A Rolling Stone: il brano è di quelli “una volta nella vita”, che per Dylan però non vale siccome esistono Tangled Up In BlueVisions Of JohannaIsisJokermanEvery Grain Of SandKnockin’ On Heaven’s Door e diversi altri, vi hanno scritto sopra trattati e libri interi, pertanto vederne la genesi, i dubbi, lo scalpello e il martello in azione, beh, non che si sia proprio lì, a New York negli studi Columbia, ma ci manca poco. Ma non è solo LARS che ha quel trattamento, basti vedere come It Takes A Lot to Laugh, It Takes A Train to Cry (Take 1 Complete) dal tono oscuro passi a It Takes A Lot to Laugh, It Takes A Train to Cry (Take 8 Complete) fatta di battaglia up tempo chitarra-organo con impagabili protagonisti Mike Bloomfield e Al Kooper. Che dire, ancora, di Just Like Tom Thumb’s Blues (Take 5) soffusa e guidata dal piano o di Desolation Row (Take 5 Remake Complete), bella a sentirsi full band anche se mai scambieremmo con l’originale – strano, Al Kooper qualche anno fa giurava e spergiurava che non ne esistesse una versione con la batteria – già, che dire? Che la highway 61 va sempre visitata e rivisitata.

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Chiunque avesse inciso Highway 61 Revisited, probabilmente poi avrebbe avuto il fiato corto – non in quegli anni e sopratutto non Bob Dylan, che gioca al raddoppio con Blonde On Blonde. Arrivati lì, si corre immediatamente a udire la sequenza dedicata a Visions Of Johanna – gente, la versione fast della Take 5 Complete semplicemente spiega che la testa di Bob Dylan pare andare a una velocità del suono inafferrabile e, sopratutto, che più di tutto l’importante è darsi delle possibilità. Già, darsi delle possibilità – tipo in Leopard-Skin Pill-Box Hat (Take 8 Complete) che, non scherziamo, sembra cosa dei Beatles di quel periodo ma anche dei Lovin’ Spoonful (soprattutto dei Lovin’ Spoonful?), con tanto di clacson che sa molto di pop art applicata alla musica. E in questo mare magnum dell’assurdo affiora pure Just Like A Woman (Take 4 Complete), che da magnificamente languida come la rammentavamo nell’originale diventa un pettirosso che vaga fra blues e garage dove il groove è contagioso e il sottile selvaggio suono mercuriale è battito d’ali indulgente ma sicuro. Sicurissimo come era sicuro di sé il Bob Dylan di quegli anni inchiodato lungo le quasi venti ore di The Cutting Edge.

CICO CASARTELLI

BOB DYLAN – The Bootleg Series Vol. 12/The Cutting Edge 1965–1966 (Columbia/Sony)

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