Il disco inferno di Marc Ribot

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Potendosi permettere di tutto, Marc Ribot con la sua magica, inconfondibile chitarra addirittura si è lanciato nelle note del leggendario Philly Sound, il sound molto soul anticipatore della disco music che negli anni Settanta fece proseliti con le canzoni di Gamble & Huff e che ebbe decisi alfieri in gente quale gli O’Jays, Teddy Pendergrass, gli Spinners, Thom Bell, Hall & Oates, McFadden & Whitehead, Harold Melvin, i Trammps – un sound che sedusse anche John Lennon, Elton John e soprattutto David Bowie che se ne ispirò al momento di incidere lo splendido Young Americans (1975).

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Naturalmente, Ribot fa un’interpretazione sui generis, la porta nel caos organizzato della sua idea di musica – che di definito e di plastica non ha proprio nulla (il Philly Sound lo chiamavano anche il “soul di plastica”) – semmai qui tenta la carta di sovvertire tutto con approccio chiaramente Ornette Coleman ma anche rimandi sia a Jimi Hendrix sia al leggendario Eddie Hazel, geniale asso della sei corde dei Funkadelic/Parliament anni Settanta. In sostanza, prendi il cosiddetto “harmolodic punk-funk” colemaniano e siringalo nell’ottimismo sfacciato e lussureggiante del Sweet Philly – e il risultato è di quelli destabilizzanti ma anche decisamente seducenti e arditi. Con lui, il batterista Grant Calvin Weston, il bassista Jamaladeen Tacuma e la giovane ma tutt’altro che immatura chitarrista Mary Halvorson, cui si aggiunge una piccola sezione d’archi, come regola Philly Sound impone – peraltro il nome del gruppo, Young Philadelphians, al di là della musica ha anche un chiaro riferimento a uno splendido film del 1959 con protagonista Paul Newman.

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Il varietà soul postmoderno che il gruppo perpetra è uno stillicidio di luoghi comuni, iniziando dalla storia stessa di Marc Ribot, visto che qui non si odono tracce né di Tom Waits né di Cubanos Postizos né di Vinicio Capossela né di John Zorn né di Elvis Costello né di Mimmo Locasciulli né di Rootless Cosmopolitans né di Medeski Martin & Wood né di quant’altro il grandissimo chitarrista abbia toccato nel corso degli ultimi decenni – qui Marc gioca la carta dell’imprevisto assoluto. E che imprevisto: sentirgli rovesciare classici quali I’ll Be AroundThe HustleLove RollarcoasterDisco Inferno e You Are Everything, ha un che di sublime e provocatorio che da queste parti lo fa amare incondizionatamente.

CICO CASARTELLI

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