Malcom Holcombe, un centinaio di bugie

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Un centinaio di bugie che sono pura bellezza, quelle di Malcom Holcombe. Quando lo scoprimmo al tempo di A Hundred Lies, il magnifico disco pubblicato nell’oramai lontano 1999, fu una rivelazione: un nuovo hobo che non suona come l’ultimo dei poser che oramai la scena roots genera a ripetizione. Holcombe è uno che ha vissuto, ha fallito ed è risorto più volte da quando esordì ormai più di trent’anni fa – lo vedi che è segnato ma forse è proprio per questo che il suo songbook in punta di fingerpicking è davvero dono riservato a pochi: il suo modo fuori sesto di stare incerto sulla seggiola, l’eco di bluesman come Skip James, Mississippi John Hurt e Lightnin’ Hopkins, il suo accento bruciante, infossato e intenso chiedono ancora e ancora le sue canzoni, tipo che dopo un’ora e mezza non ne hai ancora abbastanza. E peraltro sarebbe bello che, per dire, qualcuno ne sottoponesse le canzoni a una tizia come Bonnie Raitt – la quale per gente sulle stesse frequenze di Holcombe, nei suoi anni più giovani, si spese eccome, vedi Willie Murphy, Paul Siebel, Chris Smither e Spider John Koerner.

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Ad accompagnarlo in questa esibizione il chitarrista Jared Tyler, perfetto nel seguire gli umori del cantautore: i due si completano, dove non arriva uno ecco che arriva l’altro. Ed è così che scivola via un concerto di quelli vecchio stile, di quelli di chi batte le coffee house come il tinello di casa propria: e in questo Malcom Holcombe sembra davvero un maestro al naturale, come probabilmente lo furono antichi eroi folkie quali, indifferentemente, Steve Young, Tim Hardin, Bob Gibson o John Prine.

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Da qualche parte abbiamo letto che l’artista del North Carolina qualcosa che suona più o meno così: «Non proprio country, da qualche parte oltre il folk, la musica di Holcombe è una specie di blues in movimento, alla ricerca degli angoli più oscuri del cuore». Niente di più vero quando poi ti trovi davanti in rassegna pagine di cantautorato con sopra vissutissima sana, magnifica polvere e con quel non so che di consumato cubismo delle note come quando tocca a Mountains Of HomeSavannah BluesDown The RiverWho Carried You – l’apice di A Hundered Years, e forse suo brano più memorabile, qui proposto in una vibrante versione – Went Down In the WoodsMama Told Me So – un sofisticato rip off di Steve Earle, con quel bei tratti tipo The Devil’s Right Hand/Guitar Town – RootsSparrows And Sparrows. Già, per una volta potete dirlo forte e chiaro: niente di nuovo, per fortuna! Che di gente che millanta il “nuovo” ve n’è in giro a frotte, oggidì.

CICO CASARTELLI

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