Ronnie Spector, il cuore inglese di New York

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Davanti alla regina si fa solo una cosa: ci si inchina, con molta deferenza. Se poi questa Regina è una di quelle che ha steso tutti quanti, da Phil Spector a Keith Richards da George Harrison a Bruce Springsteen fino ai Ramones, capite bene che qui non si scherza: ladies & gentlemen, date il benvenuto di nuovo a Veronica Yvette Bennett aka Ronnie Spector, che in verità non se ne è mai andata ed è dall’Agosto 1963, quando uscì Be My Baby delle Ronettes ossia il massimo capolavoro dell’ex marito Phil, che regna assoluta sovrana su tutto e tutti – oltre a fare da mamma a qualunque Amy Winehouse di questo mondo.

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Ronnie Spector 70s 2

Come tutte le regine, Ronnie ha vissuto alti e bassi ma superati i tanti mari in tempesta, il 2016 porta un grande revival: English Heart, il suo nuovissimo album a dieci anni del precedente – disco furbo quanto ben riuscito. L’idea è semplice: Ronnie con le Ronettes, al pari del plotone Motown, fu la vera American invader in terra britannica: lì la girl band di Phil Spector fece proseliti su tutta la linea, fra pubblico e gruppi locali, compresi un paio di amanti fra quelli nominati poc’anzi – ed è quindi naturale trovarsi un disco come questo per le mani, dove la Regina rifà classici e rarità delle band che furono protagoniste della British Invasion.

Ronnie Spector con Keith Richards
Ronnie Spector con Keith Richards

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Ronnie Spector con Little Steven, Bruce Springsteen e Southside Johnny – 1976
Ronnie Spector con Little Steven, Bruce Springsteen e Southside Johnny – 1976

Il produttore Scott Jacoby fa, insomma, il colpo gobbo – riuscito alla perfezione. Attenzione, non fatevi ingannare dalla copertina né dal titolo né dal repertorio scelto: English Heart suona newyorchese fin nel midollo, giocato come un Jolly in quella forchetta di grande musica della Grande Mela che, a grandi linee, possiamo orientare in quei quindici anni abbondanti fra la fine dei 50s alla metà dei 70s, da Dion per arrivare in zona New York Dolls/E Street Band/Ramones – per intenderci. Il resto lo fa lei, con presenza unica e quella voce rotta d’emozione che non sembra invecchiare mai – capace di far sue canzoni immortali, peraltro scelte senza concedere nulla allo scontato, viverle sulla pelle e regalare quel brivido unico che le è proprio. Le perle non si contano, tipo I’d Much Rather Be With The Boys, smeraldo nascosto dei Rolling Stones che finì in mano a Donna Lynn ma che Keith Richards, innamorato perso e in gran vena philspectoriana, in verità scrisse per Ronnie non con Mick Jagger bensì con Andrew Loog Oldham (ai tempi manager e produttore delle Pietre) – Ronnie che qui, decenni dopo, giganteggia fra girl group style, maracas e hand clapping con tanto di Ronettes in session (non la sorella Estelle, però, scomparsa nel 2009). E se hai gli Stones, non possono mancare i Beatles, che qui sono in versante Macca: I’ll Follow The Sun è proprio basic, acustica come l’originale in Beatles For Sale (1964) e sopratutto con quella voce roca il giusto che sa colorare di tutto, al meglio.

Ronnie Spector con Joey Ramone e Keith Richards – 2006
Ronnie Spector con Joey Ramone e Keith Richards – 2006
Phil Spector con le Ronettes negli anni Sessanta
Phil Spector con le Ronettes negli anni Sessanta

Visto che la Spector è una maestra dei brani all drama, datale in mano Don’t Let Me Be Misunderstood versione Animals (che presero da Nina Simone) e vi ritrovate in mano una bomba a orologeria di emozioni – e la stessa accade con Don’t Let The Sun Catch You Crying di Gerry & The Pacemakers, dove acustico e orchestrazione vanno a braccetto che è un piacere. Possono mancare i Kinks, in un’operazione del genre? No, quindi una sincopata ma con anche beat contagioso Tired Of Waiting è quello che ci vuole. E visto che Ronnie Spector è fatalmente sexy, molto sexy, anche da ultra settantenne, Oh Me Oh My (I’m A Fool for You Baby) di Lulu in formato erotic soul non sfigura in nulla – e lo stesso trattamento, con tanto di wah-wah molto Sly & The Family Stone, è riservato al pezzo scelto dei dimenticati Fortunes, You’ve Got Your Troubles. Ultima, impossibile da evitare menzione per How Can You Mend A Broken Heart dei Bee Gees: oro in mano e sopratutto in bocca di Ronnie, che pure qui non sbaglia nulla, anzi, rilancia con una di quelle performance che riescono solo a lei. Nota di servizio: esiste una versione plus DVD con interviste al produttore e alla protagonista, che sarà roba per collezionisti ma che ci è piaciuto in tutto e per tutto vedere. Per il resto, godersi English Heart è un piacere, beginning to end.

CICO CASARTELLI

RONNIE SPECTOR – English Heart (CD+DVD Caroline International)

NEW YORK, NY - JULY 30: Ronnie Spector performs at "Ponderosa Stomp: She's Got The Power" during the 2011 Lincoln Center Out of Doors at Damrosch Park Bandshell on July 30, 2011 in New York City. (Photo by Andy Kropa/Getty Images)