Il tempo del ragù. Lettera aperta a Chiara Guidi

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Fiabe Giapponesi Cesena Puerilia 2016

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Cara Chiara,

per stima ed entusiasmo ti scrivo nottetempo queste righe, appena tornato a casa dal concerto Fiabe giapponesi con cui hai chiuso questa edizione di Puerilia.

Lo faccio in maniera pubblica perché mi piace pensare che le riviste, piccole o grandi, possano ancora essere luoghi di dialogo.

Riporto per dovere di chiarezza la notizia ricevuta su questo tuo spettacolo:

Concerto per voce, percussioni, dispositivi di playback, strumenti elettroacustici, vibrafono e flauti, per bambini e adulti (a partire dai 6/7 anni d’età) Fiabe giapponesi è il nuovo lavoro che Chiara Guidi ha ideato e realizzato con i musicisti Giuseppe Ielasi, Enrico Malatesta, Natàn Santiago, in scena con lei. “Le fiabe scelte per il concerto non hanno il lieto fine. La trama comincia e finisce nello stesso punto. Apparentemente non accade nulla. Eppure il prima si arricchisce del dopo e il dopo sa che non è più come prima, perché in ogni fiaba il protagonista infrange la regola, apre ciò che non deve aprire” afferma l’artista. Il percorso nel teatro infantile che Chiara Guidi conduce in un segno di unicità dagli anni Novanta, esplora sempre nuove frontiere della relazione con i bambini, mettendo a punto lavori che proprio per il ribaltamento messo in atto sorprendono l’adulto.

In questo spettacolo i bambini vengono invitati ad ascoltare le fiabe facendo un piccolo lavoro manuale. E mentre le loro mani si muoveranno veloci e gli occhi saranno concentrati, lo sguardo vedrà al di là. Al di là dei fagioli. Perché lì, in quel cumulo, nascono le immagini. Lì ognuno vede mentre ascolta. Per questo ogni volta accade qualcosa di diverso.

“Credo che il teatro abbia bisogno dell’infanzia per rinascere continuamente – continua Chiara Guidi. Non solo. Credo che per poter parlare del pieno che il vuoto contiene sia necessaria la cultura dei bambini. Solo attraverso la loro reazione è possibile risvegliare in noi quelle domande che da sempre, l’arte della fiaba pone, interrogando il nostro esserci e il nostro NON esserci, la nostra vita e il nostro destino. È necessario entrare nella fiaba: farlo insieme, mentre si lavora, nella luce del crepuscolo. Allora ciò che si genera nell’estrema rarefazione è ciò che ciascuno sguardo cercava: una nuova singolare figura del mondo, piena di promesse”.

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Mi sembra che Fiabe giapponesi, costituito da elementi in sé molto interessanti (il tipo di storie che racconti, la tua presenza, la musica, le immagini, il lavoro manuale dei bambini in scena), patisca un po’ una mancanza di sintesi che “motivi” la presenza di quegli stessi elementi.

L’ipotesi, dimmi se sbaglio, è che non ci sia stato il tempo sufficiente per amalgamarli.

Come per fare il ragù: la polpa di manzo, la pancetta, il pomodoro, la cipolla, le carote, il sedano e tutto il resto richiedono ore di paziente cottura, come le nostre mamme ci insegnano, per creare un sapore altro rispetto a quello dei singoli ingredienti.

Non mi pare che questo spettacolo rientri nel tipo di creazioni “istantanee” realizzate con il tuo Metodo Errante (delle quali proprio Puerilia è sede privilegiata di condivisione), e non credo nemmeno che il tuo lavoro faccia intenzionalmente propri quei dispositivi normalmente ascrivibili all’area del teatro post-drammatico (frammentazione, incompiutezza, discontinuità, simultaneità, sospensione del senso, opacizzazione dei segni, …).

Forse ci sono motivi diversi che inducono a produrre con frequenza nuovi spettacoli, come ad esempio l’accesso a finanziamenti pubblici (con i pesanti vincoli che esso comporta sia per gli artisti che per gli operatori).

O forse sto dicendo solamente un sacco di sciocchezze: tu Fiabe giapponesi lo volevi fare così e così, legittimamente, lo hai fatto.

Se hai voglia di rispondere ne sarei felice.

Un abbraccio,

Michele Pascarella

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Ed ecco la risposta di Chiara Guidi:

Carissimo Michele,

la tua sensazione è vera, ma non è assolutamente negativa, per me.
Questo spettacolo ha una istantaneità concentrata nell’incontro con bambini che non conosco e che decidono di lavorare con me.
Alla fine del concerto, poi, li pago.
Il progetto ha lunga data e non capisco la tua relazione con le necessità del Ministero.
Che cos’è per me il Ministero?
Il mio desiderio?
Oh no!
C’è altro che mi spinge a scavare.
Il processo di lavoro delle Fiabe è passato da Lubjana, da Legnano e ora attraversa questa forma che tu hai visto.
Sono ormai tre anni che io e Giuseppe Ielasi ci lavoriamo.
Ora il concerto, con la presenza dei fanciulli, ha un margine di rischio.
Questo è il metodo errante: andare…sbagliare….con metodo.
Io desidero molto che il punto di osservazione del pubblico si sposti
Non cerco il punto di vista di Leon Battista Alberti.
E se la parola ragù non mi piace, tuttavia capisco quello che dici.
Eppure io non cerco la sintesi, ma un continuo spostamento del punto prospettico.
C’è una forza nello sguardo dell’infanzia: non ascoltare ma sentire, non guardare ma vedere, non credere credendo.
Ma sicuramente mi sbaglio
E allora continuo a cercare
Grazie a te,

Chiara

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Il dialogo continua.

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Visto al Teatro Comandini di Cesena l’1 maggio 2016 – info: societas.es

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