ZERO: dal levare all’apporre a passi di danza

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Paola Bianchi, ZERO - foto di P.P. Rodighiero

 

Paola Bianchi, ZERO - foto di P.P. Rodighiero
Paola Bianchi, ZERO – foto di P.P. Rodighiero

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ZERO: il titolo dello spettacolo di Paola Bianchi, presentato al Teatro degli Atti sabato 16 aprile all’interno della sezione dedicata alla danza della stagione riminese, è perfetto per descrivere il pavimento sonoro su cui il corpo va a lasciare e incidere i suoi segni. In questo omaggio che la danzatrice ha scelto di fare all’artista Tadeusz Kantor si vive di sensazioni che vanno a riempire gli spazi, i vuoti e le pause che sono stati volutamente lasciati come sotto testo. Come colonna sonora Paola Bianchi ha tenuto infatti i respiri colti tra una parola e l’altra del regista polacco e i suoni dell’ambiente che lo circondavano nelle sue registrazioni. Su questo tappeto ha saputo poi ricamarci dei movimenti estremamente sottili, in cui ogni parte del corpo sembra dialogare con lo sguardo dello spettatore perso a osservare la luce che risalta il gesto preciso delle dita di una mano o la linea sinuosa e pulita della danzatrice distesa a terra. In un disegno che vuole riempire ogni spazio della scena, Paola Bianchi contrappone il suo continuo fluire armonioso ai passi semplici e lineari di Giuseppe Tordi, impegnato a seguire il suo cammino, come qualcuno che ripete a mente le cose da fare e che non può tenere conto di ciò che lo circonda, per non dimenticarle. I suoi gesti sono rassicuranti e delineano i contorni del foglio su cui la danzatrice segna i suoi bozzetti. Se per tutto lo spettacolo gli occhi sono attirati da queste due figure antitetiche tra loro, a un certo punto si chiudono, per immaginare la scena descritta dalla voce fuori campo. Solo così si possono vedere a pieno i gesti descritti minuziosamente e la scena che si viene a creare, presa in prestito dalla storia dell’arte polacca. Il corpo di Paola Bianchi, con le venature talvolta segnate di nero, sembra muoversi sul palcoscenico come una linea di grafite, capace di disegnare sensazioni ed emozioni che vengono percepite dal pubblico anch’esso protagonista di questo scambio. Le voci dei protagonisti che canticchiano una melodia nostalgica o raccontano una visione sembrano inoltre avvicinarci alla presenza di questi corpi, ma senza rivelarne mai fino in fondo la natura. Anche i pochi oggetti di scena presenti appaiono con una precisione registica che li rende parte a tutti gli effetti della narrazione e il rosso che talvolta li caratterizza spicca come la punta di un pennello appena intinto nel colore di una tavolozza.

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IRENE GULMINELLI

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Visto al Teatro degli Atti di Rimini il 16 aprile 2016

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