Joan Baez, grazie alla vita

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Se la regalità non si compra, Joan Baez regale vi è proprio nata: settantacinque anni fa, 3/4 di secolo dove più di ogni altra contemporanea è stata protagonista della musica americana, dagli esordi grazie al leggendario folker Bob Gibson passando naturalmente per Bob Dylan e i Grateful Dead fino ad approdare alla recente comunella con Steve Earle. La Divina, in pratica, non si è fatta mancare niente con leggerezza e rilevanza culturale come ci si attende da una predestinata come lei. E il pressoché sold out concerto a Villa Arconati di Bollate-Milano che chiude il suo tour italiano di quest’anno, è lì a ratificare una storia scolpita nel marmo.

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Arriva, vestita sobria ed elegante, sguardo che emana luce e il portamento perfetto ma poco cerimonioso – subito attacca da sola Un mondo d’amore, il classico di Gianni Morandi che conquista subito il parco della villa, e continua in solitaria con altri pezzi che semplicemente ammaliano: Farewell Angelina di Bob Dylan, God Is God di Steve Earle e un’assolutamente strepitosa There But For Fortune di Phil Ochs. Pochi minuti e già capisci che la partita Joan Baez l’ha già vinta!

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Dopodiché la raggiungono quelli della sua band, Gabriel Harris, Dirk Powell e Grace Stumberg, tutti polistrumentisti che giocano a colorare il repertorio della Signora, che prima si supera con il traditional Silver Dagger e poi torna a Bob Dylan con It’s All Over Now, Baby Blue, pezzo dove naturalmente il pubblico accompagna cantando per tutta l’esecuzione. Ti guardi intorno e percepisci la devozione degli accorsi, platea forse attempata (anche se, in verità, abbiamo scorto diversi giovani, e la cosa dà sollievo) ma è lì tutta per lei, sospira con lei, canta con lei e con lei vive emozioni forti. Anzi, se proprio possiamo dirlo, la Joan di adesso ha un che di ancora più fascinoso, artisticamente parlando: se la voce non ha più gli acuti di una volta (e che a qualcuno davano pure fastidio – non a chi scrive, beninteso), adesso che il tono è un po’ più grave il cantato vi ha guadagnato in suggestione, vedi come davvero riesce a “vivere” Deportee (Plane Wreck At Los Gatos) di Woody Guthrie, pastellata con una discreta fisarmonica, Joe Hill (la formula è facile, assicura Joan introducendola: «Rendere il mondo un posto migliore organizzando la povera gente!»), Jerusalem di Steve Earle, soffertissima performance accompagnata dal pianoforte, e Me And Bobby McGee di Kris Kristofferson che davvero fa gorgheggiare ed emozionare tutti quanti, specie chi sa che quest’anno il Billy The Kid di Brownsville, Texas ha compiuto ottant’anni. Il resto è faccenda di una persona che la propria canzone, per citare un suo vecchio amante, la sa bene già prima di iniziare a cantare, eccome – vedi Diamonds And Rust, tradotta sul posto in italiano da Joan prima di intonarla e spaccare l’aria con i sentiti versi dedicati a Dylan, il gospel Swing Low, Sweet Chariot, addirittura Bella ciao che è lì non per far piacere ma perché Joan sa cosa sia un grande brano, fino Seven Curses ossia la furba cianografia di Gallows Pole secondo Bob Dylan che è il momento più bello del concerto: Joan Baez la inchioda con tutta la mistica e la magia che il capolavoro richiede ma che anche si porta dietro. Quando si parla di atmosfera che vibra.

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La corsa verso il finale è fatta di classico su classico: la stupenda Do Right Woman-Do Right Man (Dan Penn, nota sopratutto grazie ad Aretha Franklin), The House Of The Rising Sun, la sempre verde Gracias a la vida di Violeta Parra, Imagine di John Lennon, The Boxer di Simon & Garfunkel, via via fino a C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, con qualche titubanza a ricordare le parole ma con la solita personalità a portarla a casa, e all’epilogo Here’s To You, accorato saluto a Sacco & Vanzetti scritto, sempre meglio ricordarlo, da Lady Baez con il Maestro Ennio Morricone. Qualcuno potrebbe pensare che tutto ciò sia vetero-passatismo: se lo si pensa è semplicemente perché non si era lì, considerato che Joan Chandos Baez è sempre e comunque nel girone dei vivi che non è possibile omologare.

CICO CASARTELLI

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