Tom Jones e l’Inferno che brucia

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Per una volta dimenticatevi Las Vegas, The Voice e Pussycat, ma andare direttamente all’essenza di questo brillantissimo, vincente gallese chiamato Tom Jones: blues, country, folk, murder ballads, gospel gotico – giusto come nei suoi ultimi tre eccezionali album Praise And Blame (2010), Spirit In the Room (2012) e Long Lost Suitcase (2015) – trilogia prodotta da Ethan Johns e accostabilissima alle American Recordings di Johnny Cash e Rick Rubin – e indietro nei sotterranei segreti della sua molto luuuuuuunga carriera iniziata nel 1963, che poi è dove hanno raccolto a piene mani gente come Nick Cave, Richard Hawley, Tex Perkins e Jarvis Cocker.

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Lo show è davvero fatto di puri brividi, di pelle d’oca: TJ è un performer pazzesco, domina tutto con una voce che va oltre il dono divino – soffia nel microfono e tutti i brani altrui diventano suoi per pura potenza e magia che non si sa come spiegare, si può solo ascoltare. Che qui non si scherzi TJ lo stabilisce subito con Burnin’ Hell, un John Lee Hooker che solo quello che fu un minatore gallese può fare così esplosivo: trema tutto fra i palazzi, le nuvole e le stelle del cielo sopra il lago di Locarno – grazie anche a una strepitosa band che lo circonda e ne esalta la duttilità scenico-vocale.

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Il resto non cambia regime – è semplicemente stordente: due-dicasi-due Randy Newman come Mama Told Me Not To Come e You Can Leave Your Hat On che più sexy non si potrebbe, Sexbomb rivoltata gospel-swing, Tomorrow Night di Lonnie Johnson che merita di stare accanto a quelle del suo fraterno amico Elvis Presley e di Bob Dylan, Run On (God’s Gonna Cut You Down) dove più che Odetta/Johnny Cash sembra di sentire gli Zeppelin – Tower Of Song di Leonard Cohen che TJ s’infila come un guanto i versi immortali del poeta di Montréal («I was born like this/I had no choice/I was born with the gift of a golden voice»), I Wish I Would (Billy Boy Arnold) che gira spettacolare in un turbinio fra beat e blues. Tutto qui? Neanche per idea – la versione sospesa tra mariachi e Souther gothic di Delilah soffia nel vento e chiede perpetuità – aggiudicata! Vi è pure 007 con Thunderball, il country straziante e nostalgico con Green, Green Grass From Home, il gospel fra demonio e santità Soul Of A Man (Blind Willie Johnson), la struggentissima ballata Elvis Presley Blues di Gillian Welch («Le parole di questa di questa canzone rendono omaggio a Elvis nel migliore dei modi», assicura TJ), il pop danzante If I Only Knew che fa ballare chiunque – e poi tutti iper eccitati verso il finale con Kiss di Prince – dove avremmo visto bene tutte le dame presenti sfilarsi le mutandine e tirarle sul palco a TJ in segno di rispetto amore-eccitazione-lussuria! E, in verità, se non mutandine sul palco qualche reggiseno è volato. Il commiato è pura meraviglia: Strange Things di Sister Rosetta Tharpe, stupendo spiritual con molto swing che manda a casa tutti con la scossa e tantissima joie de vivre, quella che da sempre trasmette TJ.

CICO CASARTELLI

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