Inequilibrio #1: AstorriTintinelli, Il sogno dell’arrostito

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AstorriTintinelli, Il sogno dell’arrostito - foto di Lucia Baldini

AstorriTintinelli, Il sogno dell’arrostito - foto di Lucia Baldini
AstorriTintinelli, Il sogno dell’arrostito – foto di Lucia Baldini

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Da non perdere, il Festival Inequilibrio di Castiglioncello: da diciannove anni propone un variegato programma con abbondanza di prime nazionali e progetti speciali, voluto con pervicace passione dai direttori artistici Fabio Masi (per il settore teatro) e Angela Fumarola (per la danza).

Di seguito alcune note a proposito del più recente spettacolo della Compagnia AstorriTintinelli, stralunato duo di base a Sesto San Giovanni già incontrato in altre due occasioni grazie al lavoro curatoriale di un’altra coppia artistica inusuale, anch’essa di casa a Castiglioncello, i Quotidiana.com (Paola Vannoni e Roberto Scappin).

La scena de Il sogno dell’arrostito funziona come una Merzbau.

Come ben sintetizza lo storico dell’arte Fabriano Fabbri, «dal 1923 Kurt Schwitters accumula detriti su detriti attorno alla cosiddetta colonna Merz, assemblaggio costituito da oggetti di scarto, secondo il principio schwittersiano di procedere a un riscatto costante degli elementi considerati infami e schifosi, da destinare a qualche discarica. Cattedrale delle miserie erotiche: il titolo integrale della Merzbau è esattamente questo. Di titolo e di fatto, poiché la colonna iniziale si espande dentro l’abitazione di Schwitters, ad Hannover, occupando prima un piano intero con quintali di oggetti che l’artista deposita a strati creando meandri, pertugi, spazi del tutto irregolari, poi sfondando soffitto e pavimento, su e giù, a invadere altri appartamenti del palazzo. Se Marcel Duchamp sceglie i suoi investimenti estetici nell’ambito del “già fatto”, Schwitters compie la stessa operazione di prelievo, ma in lui agisce la spinta a cercare tra un ammasso di oggetti, dove in qualche modo il tempo cronologico e atmosferico trasmette alle cianfrusaglie l’alone del “già sfatto”».

È un debordante accumulo di ciarpame, per la maggior parte proveniente da una ferramenta dimessa, il campo di battaglia nel quale agiscono Alberto Astorri e Paola Tintinelli.

Battaglia contro chi? Contro cosa?

Verrebbe da dire: contro tutto.

Il sogno dell’arrostito si pone infatti come uno spettacolo sul potere, contro il potere. Arrostito è ciascuno di noi, quando e in quanto assuefatto, ammansito, disinnescato.

L’operazione propriamente estetica (termine qui da intendere, etimologicamente, come l’opposto di anestetica) di AstorriTintinelli rimanda a un’idea di arte militante-politica che non rinuncia a dire a gran voce la propria visione del mondo, a farsi pro-motrice di un possibile cambiamento: il loro è un «teatro delle attrazioni», per stare con S.M. Ėjzenštejn, «il cui compito formale consiste nell’agire efficacemente sullo spettatore con tutti i mezzi messi a disposizione dalla tecnica moderna, un teatro in cui l’attore occupa un posto equivalente a quello di un mitra caricato a salve che spara sul pubblico».

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AstorriTintinelli, Il sogno dell’arrostito - foto di Lucia Baldini
AstorriTintinelli, Il sogno dell’arrostito – foto di Lucia Baldini

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Questo scalcinato cabaret post-atomico, che sarebbe perfetto vedere in un teatrino milanese di periferia o parimenti in uno storico teatro all’italiana tra velluti e ori, senza posa si mette a nudo: reiterata enunciazione della struttura drammatica, cambi di luce e di scena a vista, costruzione degli effetti sonori come parte esplicita della partitura attorale, …

Astori monologa «con quella pacata, amara indifferenza dell’attore che conosce i polli della sua platea», si potrebbe dire citando Ennio Flaiano, mentre Tintinelli, attrice davanti alla quale «trattengo male l’ammirazione» (Flaiano, again), è per la maggior parte del tempo impegnata nel produrre dal vivo una serie di ferrose sonorizzazioni a metà strada fra Luigi Russolo e Einstürzende Neubauten.

Un’inconsolabile, lunare ironia permea Il sogno dell’arrostito, spettacolo che ingloba politica, poesia, arte e società e da tutto, socraticamente, prende distanza.

Per fare ciò adotta la lingua di un solido teatro d’attore-autore ricco di invenzioni: vale ricordare almeno il reiterato tentativo di avviare un comizio politico più volte abortito dall’assordante rumore di una motosega, il passaggio in cui i due attori in scena mangiano toast con acciughe discutendo di cibo e tragedie umanitarie e, sul finale, lo sproloquio sull’aumento di trenta centesimi del prezzo delle noccioline «perché andiamo a raccogliere le salme di quelli che ci invadono con i barconi».

AstorriTintinelli si conferma una Compagnia a cui dedicare attenzione. Per non stare tranquilli.

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MICHELE PASCARELLA

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Visto al Castello Pasquini di Castiglioncello (LI) il 7 luglio 2016 – info: armunia.eu, astorritintinelliteatro.com