Jack White, lo zucchero non è mai stato così buono!

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È da dischi come questo doppio Acoustic Recordings 1998-2016 che capisci chi sia fuoriclasse e chi no – Jack White naturalmente fa parte dei primi, anzi, forse è il grande fuoriclasse degli anni Duemila americani. Già con i cinque brani prodotti da T-Bone Burnett per la splendida colonna sonora di un film mal riuscito, Cold Mountain (2003), aveva steso gli adepti con un repentino stacco-della-spina per darsi al folk che, del resto, lo ha sempre fatalmente attirato. Adesso chi voleva di più, è accontentato, e pure di brutto: qui sfavillano ventisei brani unplugged presi da diciotto anni di carriera fra White Stripes, Raconteurs e sortite in solo.

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Non pensiate un solo secondo a derubricare Acoustic Recordings 1998-2016 a cose tipo “prodotto per ultra fan” oppure “antologia di scarti”: qui vive il Jack White forse più bello, quello in cerca del primitivismo americano, per dirla con John Fahey, quello che ha sedotto e mai abbandonato i suoi veri estimatori, al di là dei video hyper-cool dei White Stripes o dei “pó-pó” da stadio di chi non ha idea di cosa stia intonando. Addirittura siamo pronti a scommettere che questa doppia antologia negli anni sarà ricordata come fra le cose più belle pubblicate da John Anthony Gillis, com’è iscritto all’anagrafe il piccolo Bob Dylan di Detroit. Ritroviamoci qui fra un lustro o due, e vedremo chi ha ragione.

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Si fa veramente fatica a scegliere il meglio in mezzo a questo ben di Dio. Il periodo White Stripes è una perla via l’altra, a cominciare con l’introduttiva Sugar Never Tasted So Good, con Meg che tiene il ritmo con poco e Jack che sputa fuori il suo feeling unico, e continuare con la spettacolare resa unplugged del classico We’re Going To Be Friends, con la dolente You’ve Got Her In Your Pocket, con il rarissimo singolo prodotto da Beck Honey, We Can’t Afford To Look This Cheap, con lo straziante inedito assoluto City Lights o con l’avvolgente lettura in punta di dita di As Ugly As I Seem – e se il tutto vi fa pensare a un vulcano di idee a metà strada fra Bob Dylan e Paul McCartney (quello dedito al lo-fi fra il White Album e suoi primi due album in proprio) avete capito bene, Jack è uno che porta proprio quelle stigmate.

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I Raconteurs sono rievocati con solo un paio di episodi: la murder ballad Carolina Drama, che da rocciosa che era nell’originale qui viaggia su frequenze folk guidare da un bel violino affetta aria, e Top Yourself, ancora più esplosiva in questa versione dal tiro bluegrass e con ospiti Ricky Skaggs e Ashley Monroe. Infine tocca al repertorio solistico, quello legato agli ottimi Blunderbuss (2012) e Lazaretto (2014), con i quali White senza cedimenti ha dimostrato ancora una volta il proprio valore. Dai sussulti pianistici di On and On and On a quelli d’organo di Love Interruption, dalla saga folk-incisa-nel-fienile Just One Drink all’incantevole bellezza di Never Far Away che sembra facile scambiare per qualcosa di John Prine, anche in quest’ultima parte di Acoustic Recordings 1998-2016 Jack White mette suggello alla proprio visione della musica senza compromessi quanto accessibile a chiunque. Già, i fuoriclasse li vedi proprio da queste cose – e non per niente il nostro eroe al tempo dei White Stripes in Ball And Biscuit parlava di settimo figlio, quello prodigio! E chi se non lui, adesso?

CICO CASARTELLI

JACK WHITE  – Acoustic Recordings 1998-2016 (2CD XL/Third Man Records)

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