Thomas Guiducci, marinaio intrappolato nel profondo mare blu

0
956

13529014_10154497357064928_5747192421045790464_n

Domande fondamentali che chi scrive di musica, presi come molti sono a far un favore all’amico o ad allisciare l’ufficio stampa di turno: perché un lettore dovrebbe scomodarsi e scaricare o addirittura comprare un disco – e ancor di più se questo disco è di un nuovo artista italiano, che nel caso specifico è un quarantenne che canta in inglese? Con tutti gli “originali” là fuori, che bisogno vi è di complicarsi la vita con derivati di vario genere? Le risposte, ovviamente non le abbiamo – pensiamo solo che anche per gli “originali” vi fu un tempo in cui essi cercavano di farsi ascoltare («Io sono stato fortunato ma ho molto talento», disse fulminante Lou Reed trenta e passa anni fa). Però ci piace sgombrare il campo di qualsiasi equivoco: l’autore di queste righe e quelle del disco in questione non si conoscono, vi è stato solo un fugace contatto on line e nulla più, del tipo «Ti mando il mio album – mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi». Lusingati per tanta fiducia.

14192025_10209967334170110_293574007132347725_n 13445329_1027022127387616_6228963464552498048_n

Prologo d’obbligo, che ci porta a Thomas Guiducci, nato e cresciuto a Rimini ma da diverso tempo residente a Torino: se abbiamo capito bene ha fatto parte di un gruppo chiamato B-Folk Guys mentre, EP a parte, e ha già pubblicato The Heart And The Black Spider (2012), cui ora segue The True Story Of A Seasick Sailor In The Deep Blue Sea, co-prodotto da Luca Andriolo dei Dead Cat In A Bag. Appunto, perché questo lavoro dovrebbe spingere qualcuno ad ascoltarlo, con tutti gli “originali” che stanno là fuori? Semplice, perché con tutti i riferimenti che vi cogliamo all’ascolto – indifferentemente Townes Van Zandt, 16 Horsepower, Tom Waits, Joe Henry – ha anima. O così ci pare di cogliere. Certo, la cosa è soggettivava e ci assumiamo tutte le responsabilità del caso.

13220815_10209377522337834_3801068537483246437_n

La prima cosa che cogliamo ascoltando The True Story Of A Seasick Sailor In The Deep Blue Sea è la parvenza che Guiducci abbia messo insieme un disco che sa molto di concept, peculiarità sempre più rara nella musica italiana, peraltro approntato con soluzioni diverse del solito: qui si respira blues, folk, country, sea chant – se dici concept da noi vengono subito in mente i Yes o il Banco, per dire. Già attaccare con un (gran) pezzo quale Seaside Sailor, che per quasi sette minuti parte per mari che sanno di Randy Newman e di Paolo Conte, di Vinicio Capossela e anche di Lucio Dalla, la dice lunga: il comandante chiede che si osi – e osare sia. Il disco di lì corre sghembo, irregolare ma con una bella luce propria che fa davvero apprezzare un po’ tutto ciò che s’incontra: Hangover Song, canto per sbronzi o per post sbronza che sia con Conte nell’umore e David Eugene Edwards nel banjo, il blues per pirati This Is Not A Love Song (niente paura, John Lydon non ha nulla a che vedere – immagine pubblica a responsabilità limitata, sempre!), Jericho Road, il passaggio più up tempo dell’album, e The Magpie, chiusura rarefatta ma puntellata di dissonanze – ossia i momenti peculiari di un disco che merita di esistere, di essere ascoltato e, se connessi come richiede, di essere molto apprezzato.

CICO CASARTELLI

THOMAS GUIDUCCI – The True Story Of A Seasick Sailor In The Deep Blue Sea (Good Luck Factory/info@thomasguiducci.com/http://www.facebook.com/thomasguiduccimusic)

13427905_10154456349099928_5250566841787421943_n