Le preghiere natalizie di Neil Diamond

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Già lì vediamo e li sentiamo che ululano gli snobboni: no, non un album natalizio di Neil Diamond! Ebbene, sì – anzi, quando certi dischi li prendi solo perché questo o quell’artista lo collezioni tutto e, sorpresa, il lavoro va ogni altra ogni attesa. Ossia esattamente quanto accade con Acoustic Christmas. Che, diciamolo subito, dalla sua ha una perfetta produzione firmata Don Was (Rolling Stones, Bob Dylan, Bonnie Raitt) e Jacknife Lee (R.E.M., Weezer, U2) – anzi, forse sarebbe meglio dire non-produzione, visto l’understatement e la scelta pressoché ambientale di registrazione che si coglie ascoltando il disco.

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Acoustic Christmas è un lavoro che in tutto e per tutto non “è la prima volta”: ossia, Diamond di album a tema natalizio ne ha già incisi due, The Christmas Album (1992) e The Christmas Album, Vol 2 (1994), peraltro piuttosto tronfi e cliché – mentre con Was non è la prima volta che vi lavora, siccome si contano pure il passabile Lovescape (1991) e il magnifico Melody Road (2014, anche quello con anche Jacknife Lee). Detto ciò, con tutta la diffidenza che si può avere per i dischi natalizi, il vecchio Neil qui si supera: sembra quasi il disco mancante delle American Recordings di Johnny Cash/Rick Rubin, quello mai fatto incentrato sui temi delle festività.

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Come il miglior vino, Neil più invecchia più mostra qualità che non ti attendevi – o che forse in sei decenni non si erano veramente colte. Forse già nel 1971 o nel 1976 molti lo vedevano destinato chiaramente a lunghi soggiorni in quel di Las Vegas a raccattar denaro nei panni di un Elvis ebreo un po’ goffo – invece a Las Vegas, la storia canta, adesso vi sono finiti per lunghe residency annuali Elton John, John Fogerty e Rod Stewart, per dire. Neil, sorpresa, invece te lo sei ritrovato decenni dopo a fare grandi dischi con Rick Rubin e Don Was – non solo: chi ha voglia si riprenda l’eccellente Three Chord Opera (2001) – ma anche un disco come Acoustic Christmas che parte da un cliché per, appunto, scartare i cliché.

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In Acoustic Christmas la nostalgia non è un soprammobile né la ricerca di gesti scontatati – semmai è una gran bella spedizione folk secondo Neil Diamond. Ascolti le strepitose O Holy Night – una chitarra che arpeggia, un piano che rintocca e l’immensa classe di Neil che riecheggia – Christmas In Killarney – con quel bel tiro Irish contagioso dal secondo uno – Children Go Where I Send Thee – magnifico gospel con un gran coro alle spalle, che peraltro suggeriamo calorosamente di riprendere anche nelle versioni di Johnny Cash/June Carter e soprattutto di Odetta – oppure Go Tell It On The Mountain – il grandissimo classico che qui gira fra white blues e country a tinte black – dicevamo, ascolti tutto ciò e Neil Diamond, colui che dicevano essere una macchietta, tronfio, kitsch, scontato e tutto il peggio possibile, ne esce benissimo. Come, peraltro, gli è capitato molte volte lungo una carriera che, a questo punto, stiamo sospettando possa essere infinita.

CICO CASARTELLI

NEIL DIAMOND – Acoustic Christmas (Capitol)

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