Il taccuino del critico: “Alexis. Una tragedia greca” di Motus

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Motus, Alexis. Una tragedia greca - foto di Valentina Bianchi
Motus, Alexis. Una tragedia greca - foto di Valentina Bianchi
Motus, Alexis. Una tragedia greca – foto di Valentina Bianchi

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Da un po’ di tempo sperimento, per una parte dei lavori che incontro, una modalità di restituzione che funziona così: durante gli spettacoli prendo alcuni appunti sul mio taccuino. Inevitabilmente (anzi: intenzionalmente) frammentari.

A seguire li ricopio qui.

Nessun approfondimento.

Alcuni lampi.

Qualche artista vanitoso ogni tanto si offende, perché la sua ricerca «richiederebbe ben altra attenzione» rispetto a queste poche righe.

Pazienza.

Mi consolo in anticipo con Ennio Flaiano: «Il segreto è raggiungere da professionisti la disinvoltura dei dilettanti, non prevalere, far credere che la cosa sia estremamente facile, un divertimento che trova la sua ragione di esistere nel fatto di essere più leggero dell’aria».

Buona lettura.

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Alexis. Una tragedia greca 

Prima di partire per Bologna leggo, nel comunicato stampa che mi è stato inviato:

Alexis è l’ultima parte del progetto Syrma Antigónes, in cui la figura mitica di Antigone è archetipo di lotta e resistenza per indagare il rapporto conflittuale fra generazioni. In quest’atto conclusivo del progetto la ricerca drammaturgica ed estetica dei registi Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, da sempre in controtendenza rispetto alle consuete retoriche teatrali, prende le mosse da un tragico avvenimento contemporaneo: la morte del quindicenne greco Alexandros-Andreas Grigoropoulos, ucciso da un colpo sparato al petto da un poliziotto nel 2008, un sabato sera come tanti a Exarchia, quartiere centrale di Atene. La morte del ragazzo ha spinto molti adolescenti a scendere nelle strade, alle proteste si sono uniti molti altri greci esponenti di tutte le fasce sociali, scatenando un’insurrezione popolare senza precedenti. Questa forte reazione del popolo greco, la sua decisa volontà di trasformare l’indignazione in azione, ha indotto Motus a muovere il progetto ispirato ad Antigone sul tema delle rivolte del contemporaneo, andando personalmente in Grecia per rintracciare dichiarazioni politiche e testimonianze dirette raccolte a Exarchia, per strada, nei centri sociali, nei caffé. Così in Alexis la morte del giovane Grigoropoulos diventa specchio di quella del Polinice sofocleo, in una riscoperta del tragico che, in presa diretta con la crisi dell’Occidente, si tinge del rosso-sangue della più lacerata cronaca contemporanea. «Il palco – si legge nelle note della compagnia – diviene luogo di una presenza corale, commovente, che agisce un testo polifonico e stratificato, dalla natura ibrida e fulminea: dialoghi, interviste, riflessioni solitarie, tentativi di traduzione dal greco, all’inglese e all’italiano, frammenti audio e video dalla rete, descrizioni di atmosfere e paesaggi». Pedinando le suggestioni di altri linguaggi, contaminando la scena con elementi multimediali e mettendo in cortocircuito modalità del teatro documentario e del teatro di narrazione, Motus elabora una nuova dimensione performativa per uno spettacolo che è soprattutto proposta di azione.

Mi viene in mente un frammento de L’invenzione del quotidiano di Michel De Certeau: «Nell’Atene di oggi, i trasporti pubblici si chiamano metaphorai. Per andare al lavoro o rientrare a casa, si prende una “metafora”  – un autobus o un treno. I racconti potrebbero portare anch’essi questo bel nome». Chissà se Motus, mi chiedo in viaggio verso Bologna, nell’affrontare una vicenda così calda saprà prendere distanza (linguistica) da se stesso. Spostarsi a lato. Farsi metafora: per portarci con sé.

Vedremo.

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Motus, Alexis. Una tragedia greca - foto di Valentina Bianchi
Motus, Alexis. Una tragedia greca – foto di Valentina Bianchi

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Mentre il pubblico entra in sala Silvia Calderoni fa stretching, sul palco. Riscaldamenti. Il corpo è una linea. La vicina di poltrona dice a mezza voce all’amica (signore da abbonamento, con permanente d’ordinanza): «Quella è la Calderoni. Guarda che fisico. Sembra il mio!». Ridacchiano.

Si fa buio.

Nebbia. Tre grandi neon rosa a terra. Corpo-linea che si spezza e rimbalza, si spezza e rimbalza. Il ritmo aumenta. Inseguimenti. Bandiere. Lei avanza di lato, verso il proscenio. Corpo-linea, corpo-teatro. Sassi lanciati. Neon gialli, ora.

SilviAntigone racconta l’esperienza del proprio viaggio intrecciata alla tragedia greca. Un accorto lavoro di costruzione di una certa immagine di sé. E del mondo. Di sé nel mondo.

Remember, remember the sixth of December.

Gli «enunciati performativi» di Austin del ’62 sono qui, adesso.

Carrello con video proiettore, si muove e deforma, si muove e dà forma.

Le scarpe di un io che cammina.

Narrazione per frammenti. L’allora diventa ora.

Auto-didascalie raffreddano il dramma: «Qui avanzo. Guardo il pubblico». Silvia Calderoni spiega come piange in scena. Poi mostra. Poi spiega di nuovo. Espedienti linguistici che, distanziando, avvicinano.

«L’ethos tragico non si riduce al pathos di colui che è precipitato nel disastro o nella rovina». Jean-Luc Nancy, Dopo la tragedia.

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Motus, Alexis. Una tragedia greca - foto di Valentina Bianchi
Motus, Alexis. Una tragedia greca – foto di Valentina Bianchi

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Autoscatti in diretta, proiettati e decorati/cancellati con lacrime rosse e croci.

Ancora narrazione. Poi una danza insensata evoca nel corpo (il loro sul palco, il nostro in platea: cinestesia) la follia di cui si racconta: un modo per rendere il mito attuale.

Così lontano, così vicino.

«Chi è Antigone per te, oggi?»

Massimiliano Rassu muore a ripetizione. Il dramma diventa lingua.

La lingua non dice il dramma, è il dramma.

Come il burro di Joseph Beuys, l’urlo di Artaud nell’incipit di Per farla finita col giudizio di dio, le caramelle di Félix GonzálezTorres. 

«Per me è veramente strano ricreare tutto questo sul palco».

«L’arte non basta. Bisogna fare qualcosa di più».

Remember, remember the sixth of December.

Remember, remember the sixth of December.

Ancora: scene realistiche si traducono in lingua. Attori che verbalizzano il loro fare. Ripetizione di frasi. In direzione contraria rispetto alla figurazione illusionistica ottocentesca (e pre) che era (è) emanazione della volontà di produrre simulacri il più possibile simili agli esseri umani e agli oggetti che ritraggono.

Un tavolo in fiamme.

Un nastro adesivo rosso è una linea che porta dal palcoscenico al fuori.

Memoria di altri varchi: su tutte, il Living.

«Dobbiamo andare verso l’uomo nella strada per fargli conoscere le sue possibilità di essere». Julian Beck a Parigi nel maggio del ’68.

Altre rivoluzioni.

Così lontane, così vicine.

Questo spettacolo funziona, vuole funzionare, come una valigetta di Fluxus: l’opera deve attivare esperienze propriamente estetiche (termine da leggersi come opposto di anestetiche, non di inestetiche). Come i piedistalli di Piero Manzoni, i tubi di Eliseo Mattiacci, il Mappamondo di Michelangelo Pistoletto.

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Motus, Alexis. Una tragedia greca - foto di Valentina Bianchi
Motus, Alexis. Una tragedia greca – foto di Valentina Bianchi

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Sul finale sessanta e più persone (si) manifestano sul palco.

Exemplum del valore educativo e catartico della tragedia, su cui ha insistito Aristotele. Così lontano, così vicino. 

Fuori dalla sala il nastro rosso a terra attraversa il foyer, sorpassa la porta d’ingresso, volta a sinistra sotto ai portici, poi a destra, sulla strada. Fino a una fogna. 

Remember, remember the sixth of December.

Remember, remember the sixth of December.

Remember, remember the sixth of December.

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MICHELE PASCARELLA

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Motus, Alexis. Una tragedia greca – Visto il 10 dicembre 2016 all’Arena del Sole di Bologna – info: arenadelsole.it, emiliaromagnateatro.com, motusonline.com

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