Prima della pensione: Le Belle Bandiere e i paradossi di Thomas Bernhard

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Buio, luci: una stanza antica, vecchie sedie e poltrone, un pianoforte, un tavolino. Una donna entra con un ferro da stiro in mano, quasi danzando con lunghi passi, sembra felice ed entusiasta di svolgere quel consueto lavoro domestico e così con ampli gesti, quasi da rituale, comincia a stirare un pantalone nero. È Vera (Elena Bucci) che si dedica ai preparativi per una serata importante, la cena del 7 ottobre, in cui si siederanno a tavola insieme, come ogni anno, lei, il fratello Rudolf (Marco Sgorsso) e la sorella inferma, Clara (Elisabetta Vergani), per ricordare Himmler, il giorno del suo compleanno. Subito la segue la sorella, che avanza sulla sua sedia a rotelle, rammendando i calzini del fratello, e comincia così tra una battuta e l’altra, un dispetto, un’offesa, un ricordo, quella meraviglia che è il flusso di parole di Prima della pensione di Thomas Bernhard.

L’allestimento è quello di Le Belle Bandiere, compagnia composta dagli attori, autori e registi Elena Bucci e Marco Sgrosso, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, in scena all’Arena del Sole di Bologna dal 9 al 22 gennaio.

Vera, Rudolf e Clara Höller sono personaggi immobili, impantanati nelle loro fissazioni e follie: i tre fratelli vivono nella stessa casa da quando sono bambini; dopo la morte dei genitori nulla è cambiato, neppure la tappezzeria dei divani, tutto e grigio e polveroso, come ripete ossessivamente Vera, quasi a farcela vedere la sporcizia che si nasconde. Rudolf, presidente del tribunale ormai prossimo alla pensione ed ex ufficiale delle SS, si è chiuso in cantina per dieci anni, per poi tornare a ricoprire un importante ruolo sociale. Vera, sorella devota, anche lei fanatica delle ideologie criminali del nazionalsocialismo e amante incestuosa del fratello, si prende cura della casa e asseconda tutte le follie di Rudolf. Clara, immobilizzata in seguito a un bombardamento degli americani durante la guerra, è considerata la “diversa”, cattiva, ingrata e pazza perché simpatizzante di sinistra: legge sempre, parla poco e li osserva con disprezzo.

Tutta l’azione è finalizzata all’arrivo imminente del fratello, di ritorno dal lavoro, che a breve abbandonerà, poiché vicino alla pensione, come ricorda con smania la sorella Vera; la preparazione per la cena è un rituale: i fiori, la foto di Himmler, la divisa da ufficiale, così ben conservata negli anni, l’album di famiglia.

Un gruppo di cospiratori, come ripetono spesso Vera e Rudolf, che attendono con ansia il giorno in cui potranno tornare allo scoperto. I due  giocano a fare i nazisti, i fratelli, la famiglia, ma cercano invece soltanto di sopravvivere perché incapaci di cambiare.

Sono personaggi attaccati alla staticità, come gran parte delle figure disegnate da Bernhard, esseri che esistono solo grazie all’autocontrollo, la cui unica forma di espressione che possiedono è il linguaggio. La parola, ripetuta, urlata, bisbigliata, abusata, svuotata e gonfiata, diventa quindi suono e metafora dell’interiorità soffocata e contraddittoria del personaggio. E se a momenti Elena Bucci sembra quasi una strega, in altri è una bambina sdolcinata e poi ancora una vittima folle: sfaccettature nate da un’alternanza di toni, dalle sfumature che il personaggio possiede senza sceglierne mai una definitiva.

Da qui deriva anche il desiderio di evasione, che risiede sempre nell’arte, nel teatro, nella musica che i personaggi cercano invano di suonare.

Quella musica che tuttavia è presente in tutto lo spettacolo (drammaturgia e cura del suono di Raffaele Bassetti) e, passando da Rachmaninov a Beethoven fino al rock, accompagna armoniosamente il flusso continuo di parole, ampliandone i suoni.

Elena Bucci e Marco Sgrosso riescono così a tirare fuori il magnetismo del linguaggio di Bernhard, delle associazioni e ripetizioni, e a porne in risalto l’ironia, la “comicità” amara che contraddistingue quelle situazioni meschine che descrive. Allo stesso tempo però l’alternanza di toni riesce a donare allo spettacolo un’inquietante tensione, le ripetizioni ossessive entrano nel cervello, ci interrogano su quanto ci sia di reale e concreto in ciò che vediamo e quanto invece sia frutto di finzione, come ci fa pensare Rudolf quando ripete compulsivamente: “in ognuno di noi si cela un assassino”. Abbiamo davanti il ritratto di un uomo malato, in cui la perfezione si identifica con la pazzia e poi con la stessa morte.

Bernhard  ci parla di nazismo dall’interno, attraverso personaggi grotteschi e inetti, mostrandocene il paradosso, ma senza schierarsi contro di loro, senza rivestire la parte del giustiziere. La messa in scena riesce perfettamente a creare personaggi che rimangono nel limbo, che ci fanno ridere e ci disgustano allo stesso tempo: la parodia di grandi gesti spregiudicati del passato sembra voler essere un monito, un invito a guardarsi intorno per distinguere il vero dal falso, la realtà dal farsesco.

 

Dopo le repliche all’Arena del Sole di Bologna, fino al 22 gennaio, lo spettacolo andrà in scena dal 24 gennaio al 5 febbraio al Teatro delle Passioni di Modena, dal 21 al 26 febbraio al Teatro Elfo Puccini di Milano, dal 17 al 19 marzo al Teatro Era di Pontedera (Pisa), dal 23 al 25 marzo al Teatro Studio Scandicci (Firenze), dal 30 marzo al 1 aprile al Teatro Bonci di Cesena.

Info: www.arenadelsole.it, www.emiliaromagnateatro.com

Foto di Luca Del Pia 

SILVIA MERGIOTTI 

 

 

 

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