Il vicino con lo smartphone. Brevi note sulla ricezione di The Tallis Scholars a Reggio Emilia

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The Tallis Scholars - foto di Alfredo Anceschi

 

The Tallis Scholars – foto di Alfredo Anceschi

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Di chi stiamo parlando?

Loro sono The Tallis Scholars. Fondati nel 1973 dal direttore Peter Phillips, attraverso incisioni e concerti si sono affermati come uno dei più prestigiosi gruppi di musica vocale al mondo. Grazie all’attento lavoro sull’intonazione e sulla fusione timbrica delle voci, Peter Phillips ha cercato di creare una purezza e una chiarezza di suono assolute, presto divenuta la cifra stilistica che caratterizza l’ensemble.

Ascoltare qui, mentre si leggono queste righe: https://youtu.be/YDOENZediM8.

Che cos’è?

Il Miserere di Gregorio Allegri (1582-1652), composizione che Mozart quattordicenne trascrisse per intero dopo averla ascoltata una sola volta, eseguito da The Tallis Scholars. È uno dei loro “cavalli di battaglia”: lo inseriscono nei programmi di quasi tutti i loro concerti in giro per il mondo, da decenni. In ogni luogo che vanno ad abitare individuando tre diversi punti nello spazio in cui disporsi, con il pubblico “in mezzo”. Una spazializzazione del suono, che purtroppo i computer con cui stiamo riproducendo questa incisione non possono restituire, che rimanda agli “ingegni” di Filippo Brunelleschi allestiti in alcune chiese di Firenze verso la metà del Quattrocento allo scopo di facilitare l’approssimarsi delle persone (fedeli? pubblico? ascoltatori? partecipanti?) a una idea, o esperienza, di sacro. Attraverso la creazione di uno spazio fecondamente acusmatico, intelligentemente disorientante.

Eccoci al punto: il sacro.

E il suo contrario.

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Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia

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Seduti nella lussuosa, affollatissima platea del Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, alla nostra destra un signore per tutta la durata del concerto ogni pochi minuti ha consultato il suo smartphone: posta, social, sms. A lungo, senza fretta. A parte l’inquinamento luminoso e la tracotante cafonaggine, a parte il paradosso di spendere trenta euro per un posto in platea e ricevere forse solo parzialmente ciò che quella esperienza può offrire (facendola divenire un sottofondo ad altre attività), quella forzata vicinanza ci ha fatto sorgere alcuni pensieri.

Il maleducato comportamento del nostro vicino ci è giunto più che disturbante: offensivo, finanche blasfemo. Perché? È pur vero che il repertorio proposto dall’ensemble (soprattutto composizioni di Claudio Monteverdi, a 450 anni dalla nascita, ma anche di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Carlo Gesualdo da Venosa, Antonio Lotti e un inaudito Nico Muhly, oltre al suddetto indimenticabile Miserere di Gregorio Allegri) è stato costituito da musiche liturgiche o comunque di argomento religioso. Ma è anche noto che queste composizioni furono realizzate dagli autori su commissione, per soddisfare concretissime esigenze di sopravvivenza materiale, costituendo di fatto, nella maggior parte dei casi, beni d’uso che i compositori-servitori approntavano per le necessità dei loro padroni, aristocratici o ecclesiastici che fossero.

Una realtà molto prosaica, ben lontana dall’idea propriamente romantica di artista che nel chiuso di una stanza combatte i propri demoni per giungere con strazio, o grazie all’ispirazione, alla fatidica espressione di sé o al contatto con Dio.

Dunque: perché ci è parso sacrilego, oltre che grandemente fastidioso, il noncurante armeggiare tecnologico del nostro vicino?

Se il concetto di sacro è forse indefinibile, la realtà che esso esprime non lo è. Esso appare come una qualità che può essere propria delle più varie cose: di luoghi (i templi, i santuari naturali), di periodi di tempo (le feste, che con il loro carattere si contrappongono ai giorni comuni), di azioni (per esempio il rito), di testi pronunciati, narrati o scritti (formule, miti, scritture sacre), di persone (il re divino, certi tipi di sacerdoti), di oggetti (feticci, strumenti rituali). In tutti questi casi la qualità di sacro ha per effetto di richiedere un comportamento umano particolare, differente cioè dal comportamento di fronte allo stesso genere di cose se prive di sacralità: a un luogo sacro si accede, e vi si rimane, in determinate condizioni (per esempio a piedi nudi, a capo coperto, in silenzio), nel tempo sacro si sospendono le attività profane (il lavoro, la pulizia, il mangiare), un racconto sacro (un mito, una formula rituale) si narra in specifiche occasioni (per esempio di notte o prima della mietitura), di fronte a una persona sacra sono obbligatorie certe cose (per esempio il prostrarsi) e proibite altre (per esempio il toccarla). Obblighi e divieti particolari che trovano corrispondenza nella convinzione che la sacralità significhi o comporti una particolare potenza nelle cose o persone che ne sono investite: caratteristica che può essere del tutto indefinita e impersonale, dunque sovrannaturale, oppure concepita come derivata da un essere personale che la conferisce a esse.

Come nel caso dell’arte.

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Gregorio Allegri

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La cristallina esperienza sonora offerta al Valli di Reggio Emilia ha avuto in sé qualcosa di originario, di aurorale. Se ci pensiamo, tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un Dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o a un altro Dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Del tutto umanamente egli espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale: la fonte dalla quale emana il mondo è sempre acustica. L’uomo è nato dal suono, la sua essenza rimarrà sempre sonora.

Nella proposizione di The Tallis Scholars, trasparente e tagliente come un diamante, a ciò si aggiunge la veicolazione di testi poetici distillati da secoli di fede, passione e téchne. 

È nell’intreccio dei due livelli -vocalico e semantico- che si compie ciò che oltre trenta anni fa il medievalista e critico letterario Paul Zumthor ha suggerito con grazia: «Nella poesia si annida la speranza che un giorno una parola dirà tutto. Il canto esalta questa speranza, e emblematicamente la realizza». Svuotati e al contempo definitivamente pieni, appunto.

Attivi da oltre 40 anni, di questo ensemble The Observer ha scritto: «Sono la cosa più vicina a una esperienza extraterrestre che potete provare seduti in una sala da concerti».

Non conterà nulla, ma noi non siamo d’accordo: non extraterrestre, ma profondamente sacra. E umana.

Dire grazie, almeno.

E spegnere lo smartphone.

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MICHELE PASCARELLA

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Visto/ascoltato domenica 29 gennaio 2017 al Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia – info: iteatri.re.it, thetallisscholars.co.uk

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