“La sorella di Gesucristo”: il tip tap della tragedia di Oscar De Summa

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Due microfoni e un solo attore sul palco, un telo sul fondale che si tinge di arancio con le luci, quasi a farci sentire subito il calore di quel sole rovente del sud: immediatamente veniamo travolti da un flusso continuo di parole, suoni, urla («Maria!»), cambi di toni e musica, il rock che ci butta subito dentro gli anni Ottanta.

Così, prorompente, comincia La sorella di Gesucristo, spettacolo scritto e interpretato da Oscar De Summa, l’ultimo della sua Trilogia del Sud, andato in scena lo scorso 21 gennaio al Teatro ITC di San Lazzaro e ora in tournée con numerose tappe. Lo spettacolo viene anticipato da un inusuale incontro, l’ormai classico appuntamento col critico Massimo Marino all’interno di un surreale autobus per percorrere e approfondire i percorsi tracciati dagli artisti che subito dopo saranno in scena sul palco.

La sorella di Gesucristo, così chiamata a Erchie, piccolo comune pugliese, è una ragazza neppure maggiorenne, bellissima, istintiva, desiderata, una “tipa spregiudicata”, come si dice tra le chiacchiere da bar, che decide un giorno di ammazzare un uomo per vendicarsi di una violenza subita. L’intero spettacolo è il racconto della lunga camminata che la donna compie per attraversare la città e giungere da quell’uomo che l’ha umiliata: come fossimo dietro l’obiettivo fisso di una macchina da presa, vediamo la donna avanzare dritta, superare gli ostacoli, le opposizioni, e continuare il suo percorso fino al raggiungimento del suo scopo.

Durante questa carrellata di immagini, Oscar De Summa ci racconta la vita di Maria senza farla mai parlare: la sua giovinezza, le sue amiche, i suoi amori, la famiglia. Il tutto si svela attraverso le parole di chi la osserva dall’esterno, quelle voci sempre presenti, continue, confuse, accavallate degli abitanti, tutte figure diverse alle quali dà la parola De Summa. Di Maria però vediamo il corpo, i riflessi nei suoi occhi, sentiamo la pelle sudata e la rabbia, visioni che ricordano quasi le inquadrature dilatate dei film western.

La violenza sembra essere la reale protagonista del racconto: le parole sono saette, urlate con affanno diventano un flusso al quale l’attore riesce a donare una velocità quasi ipnotica, ci vengono contro e ci colpiscono. Poi d’improvviso il tono cambia, si addolcisce: il testo si fonde col suono della voce e diviene un continuo oscillare tra rabbia e calma, isteria e dolcezza, poesia e canto.

A questa opposizione di toni si aggiunge quella figurativa: il testo ricco di descrizioni che ci lasciano immaginare i paesaggi e i corpi, le strade polverose, le case sotto il sole, il campetto da calcio, lo sfascia carrozze, viene intervallato da disegni proiettati sul fondale, che ricordano un fumetto noir.

La sorella di Gesucristo è un’esplosione di sentimenti, emozioni di un’umanità semplice, che affiorano attraverso il racconto: piccole storie che apparentemente non lasciano segni, vite di provincia taciute, soprusi, miserie, invidie; un “tip tap della tragedia”. Un testo che lascia riflettere sulla naturalezza della violenza, quella verbale e quella fisica, quella innata che ognuno di noi cova dentro, quella che ereditiamo da insegnamenti, pregiudizi, dogmi e convinzioni, quella che per forza di cose tiriamo fuori, per giustizia o per difesa.

SILVIA MERGIOTTI