‘To be or not to be Roger Bernat’ di Fanny & Alexander. Essere e non essere

Si inscrive in una lunga tradizione rivitalizzante, propriamente estetica, la nuova performance interpretata dal vulcanico Marco Cavalcoli. Alcune note, aspettando 'Amleto'.

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Fanny & Alexander, To be or not to be Roger Bernat - foto di Enea Tomei

 

Cosa parlando stiamo di? O anche: Stiamo cosa di parlando? Oppure: Di parlando stiamo cosa? O addirittura: Parlando cosa di stiamo?

Un’intenzione propriamente estetica (termine da leggersi come opposto di anestetica, non di inestetica) pare sottendere alla radicale messa in evidenza e contestuale commistione degli elementi costitutivi il fatto teatrale (compiutezza, unitarietà, fabula, personaggio, …) posta alla base dello spettacolo che anticipa il futuro progetto sull’Amleto di Fanny & Alexander, «bottega d’arte fondata a Ravenna nel 1992 da Luigi de Angelis, regista, scenografo, grafico, filmmaker, e Chiara Lagani, drammaturga, scrittrice, studiosa del linguaggio, costumista e attrice, ai quali si aggrega nel 1997 Marco Cavalcoli, attore».

Di cosa stiamo parlando, dunque?

«Un artista contemporaneo tiene al pubblico una conferenza sull’Amleto di Shakespeare» spiegano gli artisti ravennati a proposito di To be or not to be Roger Bernat «Coerentemente alla questione che espone (l’identità e la trasmigrazione dell’identità nel lavoro dell’attore), da irredimibile camaleonte il relatore usurpa fin dal principio l’identità di un altro artista contemporaneo, Roger Bernat. Nel tentativo di illustrare la sua teoria, il nostro viene coinvolto in una serie di sprofondamenti sempre maggiori nella storia di Amleto, e al contempo nell’identità del suo avatar, tanto da esserne modificato profondamente nelle attitudini, nei gesti, nella voce e nell’essenza. In una parossistica e paradossale galleria di esemplificazioni di Amleti che hanno abitato la storia, il protagonista propone a se stesso e all’uditorio il tema di un’identità infedele e in costante metamorfosi, quello dell’usurpazione e dell’essenza, ma anche una riflessione incessante sul teatro e la sua funzione nella vita umana. Primo studio per un progetto più ampio dedicato ad Amleto, la performance nasce da un giocoso incontro tra l’artista Roger Bernat e Fanny & Alexander nel corso di una residenza/workshop condivisa in Polonia. È una riflessione sulla presenza e sull’essenza dell’attore, sulla sua ombra e la sua luce, sull’attività e la passività, ma al contempo è un divertissement sull’arte, e in definitiva un paradossale omaggio agli artisti di tutti i tempi».

 

Fanny & Alexander, To be or not to be Roger Bernat – foto di Enea Tomei

 

A proposito di “artisti di tutti i tempi” (e di tutte le discipline, viene da aggiungere): To be or not to be Roger Bernat si inscrive in una tradizione, la cui origine può forse essere individuata nel decennio d’oro delle Avanguardie storiche, nella quale le opere sono da intendere prioritariamente come occasioni di attivazione di pensiero altro e di azione divergente per chi le incontra, non certo (o almeno non solamente) come cose da guardare e non toccare (o peggio: da ammirare). Come non pensare alle Tavole tattili fatte passare fra il pubblico durante le spiazzanti serate futuriste mentre un furioso Filippo Tommaso Marinetti gridava dal palco «Lanciatemi un’idea e non solo pomodori, cretini!»? Come non ricordare, circa mezzo secolo dopo, le proteiformi proposizioni zen di Yoko Ono (due fra tante: il dipinto su cui piantare chiodi e, con coinvolgimento più smaterializzato ma non meno ficcante, la celebre Half A Room, da completare con la propria immaginazione)?

L’elenco potrebbe a lungo continuare, ma il senso pare già chiaro: in questo lavoro di Fanny & Alexander lo spettatore non è inteso come passivo fruitore dell’opera, ma soggetto attivo, se non addirittura personaggio in scena. In To be or not to be Roger Bernat viene “abbattuta” la quarta parete, insieme all’idea tradizionale di arte come “imitazione della natura”: non c’è rappresentazione, in quest’opera, piuttosto presentazione di una realtà non sempre, e mai univocamente, selezionata.

 

Yoko Ono, Half A Room, 1967 (part)

 

Nella performance interpretata dal sempre più istrionico Marco Cavalcoli si ritrovano, più stratificati che mai, tòpoi e stilemi della complessa e al contempo giocosa ricerca linguistica del gruppo ravennate, modi e mondi che paiono inserirsi pienamente nella trasformazione in atto nell’universo delle arti della scena italiane e non solo (plurale fenomenologicamente necessario), una mutazione “filogenetica” declinabile almeno secondo tre voci principali: proposizioni non più intese come mezzo di espressione di contenuti spirituali ma concepite come esperienze estetiche di carattere mondano; passaggio dalla definizione all’indeterminazione, all’alea, all’accoglimento del caso come elemento costitutivo; evoluzione dalla chiusura alla struttura aperta, intenzionata ad affidare allo spettatore il ruolo essenziale del proprio completamento (Umberto Eco docet).

L’efficacia della relazione linguistica proposta da To be or not to be Roger Bernat è data, paradossalmente, proprio dal saper radicalmente mettere in discussione gli elementi che la costituiscono (messaggio, codice e premesse), modificando gli schemi di riferimento in funzione dei contesti attraversati e analizzando il rapporto segno-significato secondo inedite, spiazzanti prospettive.

Il lavoro di Fanny & Alexander è stato presentato a Bologna in occasione del progetto Il Teatro partecipativo di Roger Bernat: curato con passione e competenza da Cristina Valenti (con la collaborazione di Carmen Pedullà), è stato realizzato durante la Stagione 2017 de La Soffitta nell’ambito delle attività del Dipartimento delle arti visive, performative e mediali dell’Università di Bologna. Intrecci luminosi, esempi incoraggianti di sostegno e moltiplicazione di pensiero e intelligenza.

Dire grazie, almeno.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Visto al Laboratorio delle Arti di Bologna il 29 marzo 2017 – info: dar.unibo.it, fannyalexander.org