Un dono fatto agli attenti. Olimpia Fortuni a Kilowatt Festival

Proteiforme qualità di movimento e un immaginario coreografico solido e sognante caratterizzano “Soggetto senza titolo”, assolo che ha ufficialmente debuttato a Sansepolcro.

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«Una cosa si stacca dalle altre con l’intenzione di significare qualcosa… che cosa? se stessa, una cosa è contenta d’essere guardata dalle altre cose solo quando è convinta di significare se stessa e nient’altro, in mezzo alle cose che significano se stesse e nient’altro. Le occasioni di questo genere non sono certo frequenti, ma prima o poi dovranno pur presentarsi: basta aspettare che si verifichi una di quelle fortunate coincidenze in cui il mondo vuole guardare ed essere guardato nel medesimo istante e il signor Palomar si trovi a passare lì in mezzo»: la fortunata coincidenza, restando con il protagonista del romanzo di Italo Calvino, è la quindicesima edizione di Kilowatt Festival, a Sansepolcro.

Lì, a pochi metri di distanza dal commovente Polittico della Misericordia di Piero della Francesca, abbiamo incontrato la prassi e le rigorose visioni coreutiche di Olimpia Fortuni, il cui spettacolo Soggetto senza titolo ha ufficialmente debuttato al Festival toscano.

 

foto di Alessandro Giacobazzi

 

L’assolo, creato con l’assistenza artistica di Cinzia Sità, il paesaggio sonoro di Pieradolfo Ciulli e Danilo Valsecchi e il potente disegno luci Andrea Rossi, articola -mediante le tre sezioni principali in cui è suddiviso- una parabola che sovrappone cultura a natura, il non fare al fare.

Nella prima parte una gommosa figurina in tuta grigia, felpa con cappuccio e volto celato da una maschera di stoffa attraversa lo spazio con reiterate sospensioni, scatti, spasmodici allungamenti e cadute improvvise, a suggerire un immaginario che intreccia le proteste al G8 di Genova del 2001 a L’urlo del norvegese Edvard Munch. Si sa: il volto è comunemente considerato l’elemento centrale dell’espressione umana, è ciò che muta l’uomo (o la donna) in personae. Cancellare il viso, dunque, manifesta l’intenzione di eliminare dal corpo l’impronta dell’individuo, la sua haecceitas. È un gesto, si potrebbe dire parafrasando Luce Irigaray, che avvicina allontanando, spiritualizza incarnando, individualizza universalizzando: ciò che avviene in scena, pienamente, ci riguarda.

 

foto di Luca Del Pia

 

 

Segue una sezione in cui, incarnando alcune figure animali, Fortuni pare più occupata ad ascoltare ciò che accade (recuperando e incarnando il significato etimologico del termine teatro, da intendersi come luogo dello sguardo e della visione) piuttosto che a proporre una riconoscibile articolazione coreografica.

Lo spettatore esperisce un tempo progressivamente (finalmente) svuotato.

Come non pensare all’usanza giapponese dei tanzaku, foglietti di poesie dettate dalla passione umana lasciate a penzolare al vento finché l’acqua e le intemperie non arrivano a cancellare la pressione calligrafica e a riportare le lettere a puro ammasso di graffiti su una carta in procinto di macerare e tornare materia cosmica?

Cosa resta? La nuda anatomia: «cose che significano se stesse e nient’altro» si potrebbe dire per stare ancora un po’, fenomenologicamente, in compagnia di Calvino.

 

foto di Luca Del Pia

 

L’assolo si chiude con una serie video: paesaggi naturali e immagini di città proiettati sul fondale. La danzatrice, nuda, attraversando lo spazio da destra a sinistra va a posizionarsi in piedi e immobile sul fondo, divenendone parte: finalmente i due oggetti, il corpo e il luogo, avanzano uno verso l’altro fino a convergere e accogliersi reciprocamente. Corpo umano e corpo-scena, corpo grande e piccolo, multiplo e individuo: «Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio» direbbe il poeta Andrea Zanzotto «qui volgere le spalle».

Ciò non faccia pensare a un qualsiasi intento didascalico, né tanto meno predicatorio: pare di poter affermare che, al dei là di contenuti anche politicamente connotati (leggi: G8), la composizione di Soggetto senza titolo risponda a una logica a-narrativa di pura organicità, giustapponendo materiali coreografici che vengono lasciati affiorare, più che premeditatamente creati.

L’artista, qui, sembra porsi come soggetto in ascolto, non tanto (o almeno non prioritariamente) come oggetto di ammirazione.

«La poesia è un dono fatto agli attenti» scrisse qualche decennio fa Paul Celan «un dono che implica destino».

Dire grazie, almeno.

 

MICHELE PASCARELLA

 

PS Per alcune suggestioni presenti in queste note dico grazie a Francesca Proia e al suo Declinazioni yoga dell’immagine corporea, Titivillus, 2011.

 

Olimpia Fortuni, Soggetto senza titolo – visto al Kilowatt Festival di Sansepolcro (AR) il 21 luglio 2017 – info: kilowattfestival.it, sostapalmizi.it/sosta-palmizi/olimpia-fortuni-pieradolfo-ciulli