Selvatico. Foresta. Un’intervista a Massimiliano Fabbri

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Foresta. Pittura Natura Animale è il titolo del nuovo capitolo di Selvatico, rassegna d’arte dedicata al contemporaneo partita dodici anni fa da Cotignola, e da sempre legata ai luoghi della bassa Romagna.

Selvatico. Foresta si presenta come una mostra diffusa in sei diverse città, articolata in undici sedi, tra spazi espositivi, gallerie ed edifici recuperati per l’occasione, per un totale di quaranta artisti coinvolti. Un progetto espositivo che si è concentrato principalmente sulla pittura, con sconfinamenti nel disegno e nella ceramica, raccogliendo anche moltissime nuove produzioni, pensate appositamente per la rassegna.

Il suo percorso a tappe si è aperto il 7 Settembre a Forlì, presso alla Galleria Marcolini, con la mostra curata da Lorenzo di Lucido, e si concluderà a Dicembre a Rimini, con la chiusura della personale di Frangi presso il l’Ala Nuova del Museo della Città, toccando nel mentre Cotignola, città natale del progetto, Faenza e Fusignano (in fondo la lista completa). Nei suoi numeri e nella sua organizzazione, Selvatico si presenta come un vero e proprio movimento collettivo, coordinato da Massimiliano Fabbri -pittore e direttore del Museo Varoli (Cotignola), in collaborazione con Massimo Pulini, Assessore alla Cultura di Rimini, Lorenzo di Lucido, artista già coinvolto nelle edizioni precedenti della rassegna e Irene Biolchini, curatrice del MIC di Faenza.

Abbiamo contattato Massimiliano Fabbri per farci raccontare cosa è Selvatico e quali le particolarità di quest’ultima edizione.

  • Come nasce il progetto Selvatico? Come è cambiato in questi dodici anni?

 Selvatico nasce dodici anni fa in risposta ad un vuoto. In Romagna c’era infatti un elevato numero di artisti, ma scarse o rare occasioni per presentare progetti: poche le gallerie private, pochi gli spazi dedicati all’arte contemporanea. Selvatico è stato allora un tentativo un po’ alla Don Chisciotte di reagire e riempire il vuoto, di fare qualcosa di nostro. E’ partito da Cotignola, dove, terminati gli studi all’Accademia di Bologna, lavoravo tenendo corsi per bambini alla Scuola di Arti e Mestieri – e piano piano si è allargato fino ad arrivare all’edizione odierna, che coinvolge sei sedi diverse, cioè sei città, sconfinando dai nuclei storici di Fusignano, Bagncavallo e Cotignola per toccareanche Rimini, Forlì e Faenza.

  •  Il sottotitolo delle prime edizioni di Selvatico era Rassegna di campagna, a sottolineare la l’intenzione di operare al di fuori dei grandi centri. Se si possono immaginare le difficoltà di lavorare in questo contesto, tra cui l’assenza di un sistema di cui parlavi prima, quali invece le ricompense?

Il sottotitolo Rassegna di campagna è stato il nostro modo, non senza ironia, di rivendicare il valore del nostro lavoro periferico e ai margini, che in realtà è uno dei punti di forza di Selvatico.

Prima di tutto, una “rassegna di campagna” permette di lavorare con lentezza: non si è sottoposti al ritmo serrato di produzione o esposizione che scandisce altri contesti: Foresta ha richiesto quasi un anno di preparazione, tra ideazioni, sopralluoghi e nuove produzioni. Una lentezza che si traduce anche nella cura delle relazioni con gli artisti – ne siano testimoni i molti nomi che ritornano tra le varie edizioni – ma anche con le realtà museali e non in cui la rassegna si inserisce, le loro città e il loro contesto. Un tempo di lavoro lungo, necessario a creare una comunità – per quanto provvisoria o, se non altro, necessario per lavorare nelle comunità che ci ospitano.

Rassegna di campagna è un sottotitolo che è ancora valido: Selvatico perderebbe il suo senso trasferendosi altrove, o imitando dinamiche e modalità di una “rassegna di città”.

Essere ai margini ci ha inoltre permesso di lavorare da una prospettiva decisamente indipendente, lontana dalle logiche di mercato.Questa indipendenza si è tradotta in una grande libertà del cosa fare e del chi invitare: qui l’altro punto di forza di un progetto come Selvatico, che si è sempre mosso nel terreno fertile del Sistema Museale di Ravenna, una rete di musei grandi e piccoli del territorio romagnolo.

  • Selvatico ha sempre un tema-immagine, che lega tutti i suoi capitoli sparsi tra le diverse sedi.Fra le edizioni passate ci sono, ad esempio Nera o E. Bianca, mentre il titolo di quest’anno recita: Selvatico. Foresta. Pittura naturale animale. Perché questa immagine? Che cos’è per te la foresta?

Foresta ha diverse ragioni. La più immediata per antitesi: l’edizione precedente si chiamava Una testa che guarda, e la scelta dei lavori girava attorno al volto, presupponeva uno centro, quello dello sguardo tra il volto rappresento e quello dello spettatore. Quest’anno volevo lavorare con un immagine che avesse invece più centri e più piani. Poi foresta perché credo che nel contemporaneo ci sia una grande attenzione al dato naturale, un’attenzione che attraversa con un urgenza più discipline, e viene espressa in diverse forme.

L’ultimo motivo, ma non per importanza, è perché nella foresta vedo una metafora della pittura. Foresta è il districarsi tra la selva dei segni e le stratificazioni di pelli che vengono lasciati sulla tela, in un percorso fatto di diversi strati e piani sovrapposti.

  • Selvatico ha già inaugurato a Forlì e Fusignano, mentre a breve ( il 30 Settembre) inaugurerà anche a Cotignola, per passare poi al Mic di Faenza e concludersi a Rimini. Tra le mostre, due le personali e moltissime le collettive. In che modo le varie tappe sono costruite e come si relazionano tra loro?

Le varie tappe di Selvatico si connettono tra loro come isole di un arcipelago, che per quest’edizione è composto da cinque differenti città, occupando spazi destinati all’arte e altri più indecisi. Oltre alle storiche sedi di Fusignano, Cotignola e Bagnacavallo, quest’anno si sono aggiunte due nuove realtà: il MIC di Faenza, che ospiterà una personale di Lorenza Boisi – presente anche al Convento di San Francesco (Bagnacavallo), e la galleria Marcolini, aperta da un paio d’anni a Forlì – unica galleria privata coinvolta nel progetto. Ritorniamo poi anche a Rimini,  realtà con cui abbiamo collaborato per costruire, due anni fa, la doppia mostra di Mattia Moreni e Nicola Samorì. Ogni sede ha un’inaugurazione indipendente, per un progetto che è iniziato a settembre e terminerà a dicembre, con la chiusura della mostra di Frangi (Rimini).All’interno di questa offerta, sta poi anche allo spettatore il compito di creare percorsi e connessioni, fermo restando che la visione completa è data dal visitare tutte le sue tappe.

La maggior parte delle mostre di Selvatico sono delle collettive, ma non sono “curate” in senso stretto: l’accento non è posto solo sulla scelta di singoli pezzi da portare in mostra. Al contrario, l’attenzione è sugli artisti. Sembra paradossale, considerato il numero di presenze che conta Selvatico, ma il nostro intento è quello di costruire dei percorsi personali per ciascuno degli autori coinvolti, percorsi resi possibili dalla presenza di più lavori esposti per ciascuno di loro. Palazzo Pezzi di Cotignola, uno stabile di tre piani di cui abbiamo ottenuto la gestione per un anno, è emblema di questa attitudine: quasi ad ognuno dei diciannove artisti che lo “abitano” è infatti affidata un intera stanza, per una mostra che si compone di focus sui singoli autori.

  • Come anticipi, sono moltissimi gli artisti che avete coinvolto, molti dei quali, come Lorenzo di Lucido o Jacopo Casadei, ritornano da diverse edizioni. Chi sono quindi gli artisti di Foresta?

Prima di tutto vorrei che si evitasse di intendere Selvatico come un rassegna di artisti romagnoli, se mai è una rassegna suoi luoghi della Romagna. Gli artisti invitati provengono da tutta Italia e appartengono a generazioni diversissime tra loro: si va dai giovani artisti, come Veronica Azzinari, Paola Angelini o Vera Portatadino a figure più mature come quella di Vittorio D’Augusta.

Come ti dicevo, non c’è un vero e proprio curatore: Selvatico nasce da una serie di connessioni di posti, persone, pratiche. Scegliamo degli artisti di cui amiamo il lavoro, verso cui sentiamo un affinità, ma la cui ricerca ci sembra anche in grado di risolvere determinati problemi, non solo visivi, che sono posti dal tema. D’altro lato, sono i luoghi stessi a chiamare gli artisti: non so quale dei due pensieri venga prima, se il luogo o una determinata pratica, ma di sicuro la scelta avviene quando le due parti si intersecano rilanciando la stessa domanda con più forza.

– Pur nelle loro diversità, tutti gli artisti hanno in comune di lavorare con la pittura – o, in qualche caso – con il disegno. Perché vi siete concentrati proprio su questo linguaggio?

Le correnti dell’arte hanno un andamento simile a quello di un fiume carsico: qualcosa rimane celato per tempo e poi torna in superficie. Per me la pittura, che sta tornando proprio ora ad avere un suo riconoscimento, è uno dei linguaggi tra i più forti di quelli che attraversano il contemporaneo.

E la sua potenza deriva dal fatto che finalmente è ritornata libera di avere una parte più segnica, di essere fatta di una sovrapposizione di pelli, segni e gesti – la stessa di cui parlavo all’inizio, descrivendo l’immagine della foresta. Credo poi che nella pittura – insieme al disegno – sia contenuto l’atto rivoluzionario di sospendere il tempo e guardare un immagine, e costruirla ancora. E capire che in questa sua imperfezione risiedono la ferita e al sua portata pulsante e vitale. 

  • Nel testo iniziale del catalogo edito perForesta, scrivete: Una rassegna di campagna alle sue origini, dodici anni e dodici mostre fa, e che ora chiude un cerchio, a partire dal suo stesso titolo e sguardo non addomesticato. Perché il cerchio si chiude? Quale futuro per Selvatico?

Per quanto riguarda l’immagine del cerchio che si chiude, l’intenzione è di rivendicare un’affinità di intenti, che è rimasta intatta nel progetto dodici anni dopo il suo inizio: con la foresta volevo indicare un ritorno al selvatico – inteso come il “non addomesticato”. La foresta si avvicina a questa idea di non domato: pensa alle favole, dove la foresta è il luogo dell’accadimento inusuale, avventuroso, lontano dalla strada più battuta.

Non so che futuro ci possa essere per Selvatico, che con il tempo è cresciuto ed allargato pur senza tradire i suoi intenti, ma di sicuro sono tanti gli artisti che sono rimasti fuori da queste edizioni con cui ci piacerebbe avere l’occasione di lavorare.

di Irene Rossini

Info selvatico: museovaroli.it, facebook.com/luigi.varoli.cotignola

Forlì, Galleria Marcolini (7.9 – 7.10.2017): Lorenzo Di Lucido, Alessandro Finocchiaro, Giulio Catelli, Annalisa Fulvi

– Fusignano, Museo civico san Rocco (8.9 – 26. 11.2017):

Comune di Fusignano: Cesare Baracca, Lucia Baldini, Federica Giulianini, Martina Roberts

Museo civico San Rocco: Luca De Angelis, Giulia Dall’Olio, Cesare Baracca, Lucia Baldini

Raccolta targhe devozionali: Marina Girardi

– Cotignola, Museo civico Luigi Varoli / 1.10 -26.11.2017

Palazzo Pezzi: Marco Samorè, Silvia Chiarini, Giovanni Lanzoni, Giulio Zanet, Marco Salvetti, Jacopo Casadei, Antonio Bardino, Matteo Nuti, Vera Portatadino, Giovanni Blanco, Domenico Grenci, Debora Romei, Marco Andrighetto, Denis Riva

Palazzo Sforza: Rudy Cremonini, Alberto Zamboni

Casa Varoli : Alessandro Saturno, Massimo Pulini, Vittorio D’Augusta

– Faenza MIC Museo Internazionale delle Ceramiche (14.10 – 12.11.2017): Lorenza Boisi

– Bagnacavallo Convento di san Francesco (15.10 – 26.11.2017)

  • Salette garzoniane: Mirko Baricchi
  • Manica lunga: Luca Coser, Lorenzo di Lucido
  • Primo piano: Paola Angelini, Enrico Minguzzi, Elena Hamerski, Massimiliano Fabbri, Lorenza Boisi, Luca Caccioni

Sala delle capriate:Veronica Azzinari

– Rimini Ala nuova del Museo della Città (5.11 – 16.12.2017): Giovanni Frangi

La rassegna è organizzata con il contributo della Regione Emilia-Romagna. Sostenitore principale è Villa Maria Research