Guardarsi guardare (un muro): brevi note su “The Wall Exhibition”

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Giuseppe Uncini, Cemento Armato, 1961

 

Di cosa stiamo parlando.

«Un percorso espositivo che racconta il concetto di muro: da simbolo di incomunicabilità ed esclusione a protagonista di un’operazione culturale che apre a molteplici prospettive. La mostra è un invito a scoprire il muro psicologico, il muro pubblico, il muro funzionale, il muro sociale, il muro politico, il muro espressivo e il muro della memoria. Ognuna di queste dimensioni è esplorata attraverso installazioni interattive, realizzate appositamente per la mostra, e con opere d’arte a tema realizzate da artisti di diverse epoche, da Piranesi ad Arnaldo Pomodoro, da Fontana a Christo, dai Pink Floyd all’artista giapponese Hitomi Sato. Un viaggio attorno e dentro al muro, in un percorso storico che va dalle mura di Gerico al muro di Berlino, fino ai muri della contemporaneità che la mostra permette di scoprire».

Detto questo.

Paradosso del muro: ciò che differenzia due corpi (e luoghi, e idee) è anche il punto in comune. La giunzione e la disgiunzione sono indissociabili.

Il muro fa da frontiera: non ha carattere di nonluogo, per dirla con Marc Augé. Al contrario, ha un ruolo di mediatore: parla. «Fermati», dice la foresta da dove viene il lupo. «Stop», dice il fiume mostrando il suo coccodrillo. «Non andare oltre», dice il muro, semplicemente esistendo: per il solo fatto di costituire la parola del limite, crea al contempo separazione e comunicazione.

È precisamente su questo aspetto che concentreremo le nostre poche righe, specificatamente nella peculiare declinazione degli atti comunicativi che il fare artistico produce: un’angolazione di sguardo che ci è affine, non certo l’unica che l’esposizione bolognese, curata da Claudio Mazzanti con la direzione creativa di Patrizio Ansaloni, attraversa.

Per trattare, seppur per sommi capi, di arte e muri, è forse opportuno affacciarsi sul principio, analogamente alla linea del tempo posta in apertura della mostra (e riprodotta in un comodo giornale a disposizione dei visitatori): un’immagine e una breve descrizione riferibili alle grotte di Sulawesi, in Indonesia, luoghi che «contengono le prime tracce di comunicazione umana: pitture sulle pareti».

 

Grotte di Sulawesi, Indonesia

 

Poiché l’esperienza estetica (termine da intendersi, propriamente, nell’accezione etimologica: si legga dunque “conoscitiva”) accompagna l’emergenza di Homo, il discorso sulle origini di tale esperienza è un discorso sulla nascita dell’uomo, l’antropogenesi.

Nel nostro caso, la locuzione “esperienza estetica” (dunque conoscitiva) può significare che in certe condizioni la sensazione diviene esperienza (cioè qualcosa di persistente, significativo, emotivamente connotato e collocato in un contesto) grazie al supporto, simbolico e materiale, che de facto ne consente l’esistenza: il muro.

È per questa via che l’oggetto della sensazione diventa segno e simbolo: traccia che raffigura evocando altro, sostituto, presenza di un’assenza.

A proposito di altre grotte e di altre raffigurazioni, ma in un discorso certo utile al nostro, il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty riflette: «Gli animali dipinti sulla parete di Lascaux non sono lì come è lì la crepa o il rigonfiamento del calcare. Non sono neppure altrove».

Tale sdoppiamento, va da sé, pone una fonda questione sulla consistenza dell’opera, sui suoi elementi costitutivi, su ciò che alcuni definiscono statuto ontologico: un «discorso sull’essere» che ingloba e rilancia i lavori di Rotella, Uncini, Fontana, Christo e Jeanne Claude presenti -fra gli altri- nella mostra bolognese. Opere-mondo, diversissime fra loro per tópoi e stilemi, accomunate dall’esplicito legame con il tema-titolo della mostra ma anche, spingendo la riflessione appena un po’ più in là, costituenti una tagliente interrogazione allo sguardo del fruitore, un invito a «guardarsi guardare», si potrebbe sintetizzare per restare ancora un attimo con Merleau-Ponty, il mondo e quelle peculiari, proteiformi (rap)presentazioni costituite da «ciò che gli uomini chiamano arte».

 

The Wall Exhibition, Bologna

 

Ben venga, in tal senso, la ridda di invenzioni ed escamotage multimediali, volti ad aumentare l’esperienza del visitatore: medium certamente utili a rendere più efficace l’incontro, grazie a un pensiero curatoriale definito e lungimirante, con qualcosa che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno e a cui forse proprio per questo non prestiamo più attenzione: un muro.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Per alcune delle nozioni qui utilizzate sono grandemente debitore al fondamentale L’invenzione del quotidiano di Michel de Certeau e al fecondo pensiero alimentato dalla rivista Studi di estetica fondata da Luciano Anceschi. A loro la mia ammirazione e il mio ringraziamento.

 

Fino al 6 maggio 2018 – Bologna, Palazzo Belloni, Via Barberia 19 – info: 051 583439, palazzobelloni.com