L’Orient Express di Kenneth Branagh

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Sfidare i classici del cinema non è mai stato facile per nessun regista: i remake sono sempre una scommessa che si cerca in tutti i modi di vincere. Ancora di più se il remake è basato su un film a sua volta ispirato a un capolavoro letterario nato dal genio di Agatha Christie. Forse non tutti, soprattutto i più giovani, conosceranno l Assassinio sullOrient Express  del 1974 diretto da Sidney Lumet, ma di sicuro ognuno potrà convenire sul fatto che l’opera di Kenneth Branagh è stata un atto di vero coraggio nello sfidare un colosso letterario e cinematografico.

Il film riprende la storia, i personaggi e gli intrighi già conosciuti, con un Hercule Poirot sempre più eccentrico e sempre più macchietta. Il film si apre presentando un Poirot codificato dal paradigma del genio incompreso, con le sue idee stravanti e le fissazioni per l’ordine e l’equilibrio contenute in una mente estremamente acuta in grado di risolvere anche i misteri più oscuri. Dopo aver dato prova della sua grande capacità investigativa in pubblica piazza a Gerusalemme, riesce a salire sul treno Orient Express per far ritorno a Londra dove è stato chiamato a risolvere un altro caso. Sarà a bordo che si consumerà uno dei delitti più impegnativi della sua carriera.

La storia è conosciuta a tutti, ma ciò che maggiormente colpisce, oltre agli elaborati movimenti della macchina da presa che forniscono diversi punti di vista da cui guardare la storia, è la presentazione dei personaggi. L’unico luogo in cui vediamo tutti i protagonisti è la sala ristorante e qui un gioco di specchi e riflessi suggerisce costantemente la presenza di una seconda identità, di un lato nascosto che deve essere svelato. Tale lato sarà suggerito dallo stesso Poirot quando racconta la storia della piccola Daisy Armstrong e lo spettatore non potrà fare altro che adeguarsi alla versione proposta dell’investigatore senza poter giungere a conclusioni personali, diverso dalla prima edizione quando la storia del rapimento di Daisy era presentata fin dall’inizio costringendo chi guardava il film a cercare di trovare un nesso tra quella storia e l’omicidio che la seguiva. In ogni caso Poirot – forse più lentamente del primo film – risolve il caso nelle due opzioni conosciute: o uno sconosciuto è entrato, ha ucciso Ratchett ed è uscito (soluzione gradita alla polizia), oppure ognuno dentro al treno è autore di una delle dodici pugnalate che hanno ucciso l’uomo.

Ciò che maggiormente si discosta dalla prima edizione del film è il finale reso molto più spettacolare ed esplicito: se infatti nella versione di Sidney Lumet i personaggi restano tutti nel vagone ristorante e a suggerire la loro vera colpevolezza è solo il brindisi finale quando Poirot si allontana, Kenneth Branagh ha deciso di portare tutti i personaggi fuori, in mezzo alla neve, disposti lungo una tavolata ad ascoltare le parole di Poirot fino a quando la signora Hubbard non si toglie la parrucca e confessa ogni cosa, chiedendo che la colpa ricada unicamente su di lei e non sugli altri suoi complici. Ciò che maggiormente colpisce di questa nuova edizione non è tanto la schiettezza con cui vengono effettivamente risolti i fatti, ma la presenza della pistola che non troppo si addice al personaggio di Poirot. Nonostante la spettacolarità e le differenze, il finale della storia resta ovviamente invariato a livello della trama.

La pellicola si chiude, a differenza della prima, con un discorso di Poirot che ha tratti molto contemporanei e che riflette molte difficoltà del mondo di oggi svelando l’estrema modernità contenuta all’interno della storia del film. È difficile giudicare un omicidio che nasce da un altro omicidio, difficile punire chi per acuta sofferenza ha deciso di procurarsi da solo la giustizia che gli è stata negata, difficile giudicare colpevole qualcuno che ha ucciso un assassino. Il male porta sempre altro male, ogni vendetta è in realtà frutto di una vendetta precedente e fuoco di una vendetta successiva: non c’è modo di fermare questo cerchio se non quello di perdonare, di non lasciarsi trascinare nell’oscurità delle nostre paure e delle nostre angosce.

Il film sarà proiettato per la rassegna Cinema Weekend della Sala San Luigi (Forlì, sabato 20 domenica 21 e lunedì 22 gennaio)