“Wonder” di Stephen Chbosky, la normalità non esiste

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Meraviglia è il titolo tradotto del film “Wonder” di Stephen Chbosky – con Jacob Tremblay, Julia Roberts e Owen Wilson – che racconta la bellezza che si cela dietro alla malattia e alla diversità e che arriva dritto al cuore e all’amore dell’essere umano. August “Auggie” Pullman è un bambino affetto dalla Sindrome di Treacher Collins che si trova improvvisamente catapultato nel magico e allo stesso tempo tremendo piccolo universo chiamato scuola media. Nonostante la paura e le numerose difficoltà, Auggie sa di poter contare su una famiglia forte e su un piccolo gruppo di amici.

L’intero film potrebbe essere riassunto con una parola: difficoltà. La pellicola mette infatti in scena, utilizzando i diversi punti di vista dei personaggi, le difficoltà da loro affrontate nei confronti della malattia di Auggie. Prima di tutte c’è ovviamente la difficoltà del protagonista stesso che non riesce ad accettare il proprio viso sfigurato, che cerca di coprire con un casco da astronauta, ma anche la difficoltà di sopportare e reggere gli sguardi degli altri, gli insulti, il presentimento corretto di essere continuamente trattato in modo diverso perché agli occhi di tutti lui non è un bambino “normale”. In secondo luogo c’è la difficoltà di due genitori, combattuti tra l’attaccamento, lo spirito di protezione e il desiderio di concedere a Auggie una vita normale, di farlo entrare nel mondo e insegnargli cosa significa effettivamente per lui vivere in mezzo agli altri. Collegata a questa c’è la difficoltà di una sorella, Via, che ama il suo fratellino in maniera smisurata, ma che lotta costantemente per riuscire ad emergere, a guadagnarsi l’attenzione e l’affetto di due genitori che, non volontariamente, rimettono tutte le loro energie nel figlio che ha – apparentemente – più bisogno. Oltre alle difficoltà della famiglia, ci sono poi quelle degli amici: per quelli di Auggie è la paura di essere esclusi dal gruppo per essere amici del “mostro”; per la migliore amica della sorella è accettare ciò che si è e la famiglia che si è destinati ad avere accanto.

Particolarmente interessante risulta, all’interno di questo contesto, la figura di Daisy, il cane, unica a non essere toccata da questa difficoltà. Daisy rappresenta in scena la grande capacità degli animali che noi umani invidiamo profondamente: il riuscire a guardare direttamente dentro alla persona, senza dare spessore all’involucro che la contiene e a donare e dimostrare continuamente un amore e una devozione gratuiti.

Difficoltà, diversità, malattia ma anche famiglia, amici, amore ed accettazione di sé. Sono queste le tematiche attorno alle quali ruota il film con l’obiettivo finale di lanciare un messaggio forte e chiaro: la “normalità” non esiste. Ognuno di noi è diverso, strano, difettoso agli occhi degli altri; ognuno di noi porta dentro di sé o fuori di sé un segno di ciò che è e del proprio passato. Ma è proprio lì, in quei segni, che risiede la più grande delle bellezze.

Il film sarà proiettato presso la Sala San Luigi (Forlì, 10-11-12 febbraio), al Cinema Lumière per la rassegna Schermi e Lavagne (Bologna, 17 febbraio) e al Cinema Cappuccini per la rassegna Enzo Mantoan (Imola, 2-3 marzo).