OTTO di Kinkaleri. Non assomiglia a niente

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Kinkaleri, OTTO 2003-2018 - foto OKNOstudio

 

Happening vs happened: ha la solidità di un oggetto e al contempo l’ontologica caducità della performance, <OTTO>, che a distanza di sedici anni dalla propria creazione è stato riallestito da Kinkaleri in occasione dei trent’anni (e in una sala) del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato: una collocazione spazio-temporale non meramente produttiva, né occasionale, ma contesto ideale per un lavoro che tratta lo spazio scenico, se lo si potesse ridurre a due dimensioni, come Pollock con i suoi celeberrimi dripping o Yves Klein e le tracce infuocate delle sue Antropometrie.

Ciò che resta, nello spazio e nella memoria, è la traccia visibile di azioni del corpo lì accadute, in un qui e ora che se è carattere ineludibile di qualsiasi atto performativo, nel caso di <OTTO> pare assumere l’assolutezza, e la problematizzazione, di un Manifesto.

Gli autori e interpreti della performance che quando fu creata, tra 2002 e 2003, divenne un vero caso -con un Premio Ubu assegnatole ancor prima del debutto ufficiale, per uno studio- hanno affidato a tre giovani danzatori-attori questa macchina significante, secondo una prassi che negli ultimi anni nel mondo della danza et ultra ha trovato nuovo vigore, anche grazie all’instancabile lavorio del Progetto RIC.CI di Marinella Guatterini: opere riportate in vita in nuovi allestimenti curati dagli autori originali e rimessi in scena con nuovi interpreti.

I tre, «piccoli pieni in mezzo a un grande vuoto» si potrebbe dire con
Samuel Beckett, eseguono una precisissima e al contempo stralunata partitura di silenzi e minime azioni apparentemente non-sense, costruendo un rapporto di reciproca amplificazione tra corpo e oggetti dell’immaginario pop (rotoli di carta, sacchetti di biscotti, deodoranti spray, animaletti a molla, …), secondo un principio di “arte come esperienza” comune a molte Avanguardie. Con il correttivo -come le più luminose fra esse- di una salvifica ironia che è al contempo, socraticamente, distanza fra sé e ciò di cui ci si occupa e relazione neutra con il proprio fare, che sia mediato o meno da un oggetto.

Le cose, qui, sono maneggiate in quanto tali, senza svilirle né glorificarle (triti meccanismi del comico), in uno stupore dell’accadimento che può evocare per lievità e poesia (cioè, etimologicamente, possibilità creatrice) Antonio Catalano, sommo artista di tutt’altro milieu.

Lo stratificato dispositivo  di <OTTO> presenta inoltre (ma ben più numerose sono le chiavi di lettura possibili per questo “classico contemporaneo” che certo avrà fortuna in questa nuova vita come ne ha avuta alla prima nascita) uno dei topos di Kinkaleri: l’interrogazione alle convenzioni della lingua, della scena e non solo, con l’accumulo di entrate comiche che in realtà è sovrapposizione di segni che interrogano e annullano sé stessi (esemplare, in tal senso il cliché comico della “torta in faccia”, qui con il performer che la sbatte in faccia a sé stesso).

<OTTO>, sistema ritmico autonomo, generatore di tracce e domande, dopo quindici anni continua a vibrare. A proporre un modo di intendere il fatto scenico e le sue molte componenti mai, mai, mai esperito prima.

<OTTO> non assomiglia a niente.

Chapeau.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Visto il 30 settembre 2018 al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato nell’ambito di Contemporanea Festival – info: kinkaleri.it, contemporaneafestival.it