«Marina Abramović and me»: conversazione con il re-performer Davide Tagliavini

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Marina Abramović e Ulay, Relation in Time, 1977

Ultimi giorni (c’è tempo solo fino al 20 gennaio) per visitare a Palazzo Strozzi, a Firenze, The Cleaner, grande mostra antologica dedicata alla «nonna della performance art», come si è autodefinita la celeberrima artista serba. L’esposizione consta di circa 100 opere create tra gli anni Sessanta e gli anni Duemila: video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la ri-esecuzione dal vivo di sue celebri performance attraverso un gruppo di performer specificatamente selezionati e formati per l’occasione. Abbiamo chiesto a uno di loro, il danzatore Davide Tagliavini, di raccontarci questa esperienza.

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Puoi definire le precise ragioni per le quali hai deciso di partecipare alla selezione di The Cleaner?

Innanzi tutto la mia profonda ammirazione per il lavoro di Marina Abramović, sin dall’adolescenza: a 16 anni venni a conoscenza, tramite una rivista, della sua performance Rhytm 0, da allora la sua ricerca è stata un costante punto di riferimento per me. Poi la possibilità di riproporre alcune delle performance e il desiderio di condividerle con altri performer.

In base a quali principi sei stato scelto?

Non lo so precisamente, le selezioni sono state fatte su un numero ampio di persone e il gruppo finale è molto eterogeneo.

Come si è svolto il periodo di formazione?

Nel settembre scorso siamo stati per cinque giorni nella campagna toscana, dove abbiamo partecipato al workshop Cleaning the House. Durante queste giornate non è stato possibile mangiare, parlare, avere contatti con l’esterno di alcun tipo né avere rapporti sessuali. Le giornate erano scandite in modo molto regolare e prevedevano diverse pratiche fisiche. Nessuno di noi sapeva quanto sarebbero durate, alcune quindici minuti, altre cinque ore. La mattina si iniziava con un bagno nudi, tutti assieme, la sera si terminava con una pratica di rilassamento.

Davide Tagliavini in Cleaning the Mirror – foto di Michele Moricci

Quanti incontri diretti avete avuto con Marina Abramović? Come si sono svolti?

Alla fine del workshop siamo tornati a Firenze, pochi giorni prima dell’inaugurazione della mostra. Qui abbiamo iniziato a provare le re-perfomance negli spazi di Palazzo Strozzi e abbiamo incontrato Marina Abramović per la prima volta. In maniera estremamente informale si è seduta a un tavolo con noi chiedendoci di stringerci il più possibile per poterci avere vicini. Poi ci ha chiesto di farle delle domande. Una che l’ha colpita molto è stata posta da una mia collega: «Come ti senti a vedere riprodotte le tue performance?», così ci ha raccontato di come alla precedente mostra di Bonn, assistendo alla ri-performance di House with the Ocean View (a Firenze ri-performata da Tiina Lehnmaki) abbia pianto ininterrottamente per lungo tempo. La seconda volta che l’abbiamo incontrata è stata proprio per questa performance, quando Tiina ha terminato i suoi dodici giorni a digiuno all’interno della casa.

Ci racconti quali sono e come funzionano le performance che tu ri-esegui a Palazzo Strozzi?

Io ri-eseguo le performance Imponderabilia e Cleaning the Mirror. La prima consiste nel restare un’ora immobile in piedi ai lati di una porta di fronte al partner guardandolo negli occhi. Il pubblico può passare in mezzo a noi, per farlo deve scegliere da quale lato girarsi, confrontandosi con uno spazio che a volte può essere molto stretto o difficile da attraversare. In Cleaning the Mirror il partner del performer è uno scheletro, che per cinque ore viene pulito con una spazzola che si può immergere in un secchio pieno di acqua. Essendo l’acqua sporca, la pulizia risulta impossibile.

Quali difficoltà presentano, nello specifico? Te lo chiedo anche in relazione allo stratificato, complesso rapporto fra imitazione di una forma data e interpretazione, ammesso che questo termine sia legittimo, per The Cleaner.

Credo che la difficoltà sia in realtà una delle chiavi di questo lavoro. Lo stesso workshop a cui abbiamo partecipato mirava, stando alle dichiarazioni della stessa Marina Abramović, a spingerci oltre i limiti a noi conosciuti. Ri-performare questi lavori pone di fronte a difficoltà in termini di resistenza, sopportazione, condizioni fisiche ed emotive differenti e, a volte, dell’incontro con un pubblico poco empatico. Ma proprio elaborando tutto ciò ho trovato uno modo di stare che non conoscevo e che ho sentito mutare consistentemente in tutti questi mesi.

Davide Tagliavini in Imponderabilia – foto di Federica Ceccarelli

La tua principale esperienza artistica è come danzatore (hai lavorato, fra gli altri, con Gruppo Nanou, Monica Casadei, Lara Russo, Anna Albertarelli). Puoi nominare tre principali differenze tra il modo di praticare la tua abituale attività coreutica e questa specifica esperienza performativa?

Non credo ci siano differenze sostanziali, se non proprio di impostazione del lavoro. L’ascolto e la presenza che vengono richiesti dalle ri-performance sono gli stessi che in sala creano la danza. La cosa che più mi ha colpito è stata vedere come il pubblico percepisca differentemente le due cose. Qui ho trovato un minore bisogno di cercare spiegazioni, a beneficio di una visione più empatica.

Il lavoro di Marina Abramović da sempre esplora le relazioni tra l’artista e il pubblico e il legame tra i limiti del corpo e le possibilità della mente. Ci sono accadimenti di questi mesi che vuoi condividere con noi, rispetto a questi due elementi di The Cleaner?

Il rapporto con il pubblico è sicuramente stato uno degli aspetti più belli dell’esperienza. In questi giorni, estremamente affollati, diverse persone ci hanno ringraziato, abbracciato e fatto domande con grande cura. Ma per me uno dei momenti che raramente potrò dimenticare è stato vedere Tiina ri-performare House with the Ocean View. Non so descrivere quella esperienza: era come specchiarsi, senza conoscere affatto l’immagine riflessa. Per diversi giorni successivi mi sono ritrovato a commuovermi, senza ragione, nei momenti più insoliti.

La tua definizione di Body Art (o più in generale di arte) è cambiata, dopo questa esperienza?

Si è confermata in me la necessità di un grande lavoro interno, ho capito il valore del tempo e della profonda semplicità.

Cosa ti ha deluso?

Nulla.

Cosa, infine, ti ha maggiormente sorpreso?

L’amore infinito per i miei compagni di viaggio

MICHELE PASCARELLA

Info: https://www.palazzostrozzi.org/mostre/marina-abramovic/