MIO NONNO È MORTO IN GUERRA, di e con Simone Cristicchi

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In una scena minimale, arredata solamente da cinque sedie di legno e una chitarra, Simone Cristicchi inizia la sua performance senza recitare: si rivolge al pubblico per spiegare il lavoro di ricerca che si nasconde dietro uno spettacolo che non è invenzione fittizia ma vero e proprio testamento, una raccolta di memorie che alcuni sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale hanno scelto di consegnare, tramite l’estro creativo del cantautore romano, alle generazioni future.

Primo tassello di questo grande puzzle che Cristicchi si accinge a ricomporre è proprio la storia di suo nonno, Rinaldo Cristicchi, reduce dai campi di lavoro in Russia. Rinaldo torna e, anche se una parte di lui è effettivamente morta in guerra, persa per sempre tra quegli orrori vissuti a -48° C nella neve, con spirito e ironia intrattiene il nipote con i propri racconti.

Un signore russo che, imbattendosi per caso in una coppia di turisti alpinisti, stringe con loro uno strano accordo: venderà loro le centinaia di medagliette militari che ha trovato e collezionato nel tempo, a patto che i due coniugi si impegnino a riportarle ai parenti ancora in vita delle vittime. È così che una signora di 97 anni può finalmente piangere il fratello disperso in guerra dal 1942. Una madre di famiglia che sacrifica se stessa per aiutare i feriti: mette in pericolo la sua vita per raggiungere un pozzo, unica fonte di sollievo per i morenti. Gli abitanti di quei territori – Istria, Dalmazia, Fiume – che l’Italia cede al regime di Tito al termine del conflitto: un viaggio attraverso il Mediterraneo affrontato da chi si sente italiano ma che dall’Italia viene rifiutato, confinato in campi profughi, privato dei propri beni che finiscono in un magazzino, un cimitero di oggetti dimenticati.

Un giovane partigiano deportato nella risiera di San Sabba e sopravvissuto alle rappresaglie solo per tornare a casa e trovare la fidanzata arsa viva insieme agli ideali in cui aveva creduto. Un figlio che non ha mai conosciuto il padre partigiano e che davanti al suo fantasma non può fare a meno che confessare che l’Italia non è ancora pronta per quel cambiamento in cui credevano i giovani della generazione precedente. Un pluridecorato soldato che propone di arruolare, per le future guerre, solo i vecchi: chissà che, tra acciacchi fisici e partite di carte, non si riesca a risparmiare un po’ di cattiveria. Un giovane che ricorda gli anni trascorsi a giocare a pallone e i bombardamenti che hanno interrotto quei giochi, ma non per sempre. Queste sono solo alcune delle storie che Cristicchi ha raccolto, ma numerose altre sono state raccolte in un libro che reca il medesimo titolo dello spettacolo, edito da Mondadori.

I racconti dello spettacolo sono intervallati da canzoni eseguite da Cristicchi con il solo accompagnamento di una chitarra che gli conferisce l’aria di un cantautore degli anni ‘60. Note contro l’orrore, musica contro la crudeltà. Ed un finale fortissimo, con Cristicchi che quasi letteralmente pianta le cinque sedie vuote gridando cinque dei nomi di quanti hanno contribuito con le loro testimonianze alla realizzazione di questo spettacolo.

Il cantautore romano dedica, infine, al pubblico la canzone Abbi cura di me presentata a Sanremo, scherzando – ma forse neanche troppo – sul fatto che se ha accettato in quell’occasione di mostrarsi in televisione è perché aveva realmente qualcosa da dire.  A lui, a quelle cinque sedie e a tutte le migliaia di sedie che le guerre di tutti i tempi hanno lasciato vuote di presenza ma piene di memorie va il nostro applauso.

ANGELA DARCHINI

Visto al Teatro Masini di Faenza, 27 marzo 2019